Appena uscito da vicissitudini familiari dolorose (la perdita della cara madre) e da altre gioiose, (il matrimonio col produttore teatrale Jorn Weisbrodt e la dichiarata voglia di avere un figlio dall’amica Lorca Cohen figlia di Leonard) il cantautore canadese Rufus Wainwright torna sugli scaffali con Out of the game un disco dove le forti influenze pop seventies e le sinterizzazioni parentali con Bowie, Queen ed Elton John riescono a concatenarsi con dilatazioni soul e spinte glamour che suggestionano – meno della metà – un ascolto radiofonico o quant’altro.
C’è da dire subito che quello che staziona dall’altra parte della bilancia critica è una “leggerezza” troppo riferita, una tracklist di pregevole fattura ma che non si stacca da altre centinaia che girano in questi giorni in ogni dove, uno sforzo armonico che, nonostante la produzione di Mike Ronson (Amy Winehouse tra i tanti) non decolla e porta il peso di una compattezza uniformemente separata; dodici brani per una scaletta patinata, dodici pezzi che non evidenziano i tratti personali dell’artista, troppe indulgenze e fisionomie attaccate nella voce e nelle timbriche che Wainwright plasma e spalma con una indifferenza senza limiti, e che – tutto sommato – fanno rimpiangere i fasti del passato. Se da una parte il soul la fa da padrone nella titletrack, in “Respectable dive” o “Song of you”, poi il tutto prende derive da “vetrofanie incorreggibili” come le movenze armoniche glammy di Mercury “Jericho”, (“Rashida”, “Montauk”, le dissolvenze Yorkeane che gravitano in “Barbara”, “Perfect man”, “Sometimes you need”, oppure un Marc Almond (“Bitter tears”) che va a confine virtuale con un Van Morrison ringiovanito ad oltranza (“Candles”), ballatone pop-soul che sigla – con il magone dell’amarezza d’amore – il disco in tutta la sua fisicità.
Che dire, non tutte le ciambelle riescono col buco, e questo del nostro canadese è una dolcificazione sonora troppo marcata, che non offre nulla oltre che la semplice e piacevole “carrellata” di buoni propositi messi in musica; forse Wainwright voleva stupire con “citazioni altolocate” ma purtroppo per lui, per questo giro non se ne fa nulla. Della serie “se ne può fare a meno”
(Max Sannella)