Disco dal sangue yankee a profusione, scene sonore southern da colpo grosso quelle che il chitarrista e frontman degli Too Slim & The Taildraggers, Tim “Too Slim” Langford, mette sul piatto stereo di migliaia di aficionados del genere, roba fine, vintage e leggermente sgranata che l’artista americano raccoglie nel nuovo disco, Broken Halo, undici tracce di potente rock-blues e south-boogie da scaldare il sangue oltre i limiti consentiti dalla natura.
Messa da parte momentaneamente la band, Langford imbraccia chitarra acustica, slide, ukulele e dobro e ricama undici brani di agi psichedelici che, trattati con lisergia desertica e folk amarognolo, rinvengono come fiori notturni alla prima loro venuta al mondo, brani che tratteggiano i fantasmi di Cooder e gli ectoplasmi di Hiatt, esotismi che non fanno nessuna fatica ad accaparrarsi un’estetica granellosa di seducente feeling; brani strumentali (“La Llorona”) e blues acustici (“You hide it well”) e quello stupendo face to face di ukulele e dobro (“Princeville serenade”) toccano il cuore profondamente come una fola che arriva dal Mississippi, e non sono altro che alcuni di questi fili sospesi che fanno da immaginario al mondo in solitaria di Langford e della sua visione lucidamente ottenebrata.
Quella che è nata solamente come una esperienza dei maestri del passato, l’artista americano poi la trasforma in un laboratorio di idee in cui la cinematicità dei brani proposti emerge in tutta la loro sincerità espressiva e semplice, quegli allucinati sensori anni Settanta che l’artista allunga in “40 watt bulb” o nella passionalità Memphisiana che struscia amori e storie di bordelli (“North Dakota girl”) non sono altro che esigenza di bucare il diaframma che separa due tradizioni, lo ieri e l’oggi di un genere che non avrà mai fine, mentre in “Shaking a cup” – con il dialogo tra chitarra e armonica a bocca – tira fuori da vecchi armadi tutta la fantasmeria corpulenta che il Delta conserva tra le sue infinite vie della perdizione verso la benedetta Musica del Diavolo.
Il buon Blues non tradisce mai e quando certi artisti ne navigano gli innumerevoli affluenti è sempre buona cosa, ne rievocano i fluidi, ne difendono le magie postume, poi le legano con i rimpianti dei piaceri d’ascolto.
(Max Sannella)