Bon Iver lo abbiamo conosciuto che era soltanto Justin Vernon, un semplice ragazzo del Midwest che trascorreva l’inverno rigido del Wisconsin chiuso in una casetta a scrivere canzoni tristissime. Un microfono, una chitarra acustica e tanta malinconia era tutto quello che aveva a disposizione ma, come per la sua Emma, sembra una vita fa. Bon Iver è oggi una super-band di nove elementi e Justin Vernon, il suo leader, si è trasformato chissà come in punto di riferimento dell’underground degli anni recenti, riconosciuto e apprezzato anche in ambito mainstream. Il loro ritorno in Italia in occasione dell’ultimo tour, a pochi mesi di distanza dalla serata di Ferrara che dicono essere stata magica, è dunque un evento da cui pretendere qualcosa di più che bella musica, qualcosa di quanto meno memorabile, e naturalmente la data all’Alcatraz di Milano non poteva che essere sold-out.
In apertura, si presentano sul palco The Staves, un trio acustico di sorelle inglesi che, con i visi angelici e le voci incantevoli che si ritrovano, sembrano quanto di più adatto ci sia per ammazzare l’attesa e allo stesso tempo riscaldare i cuori battenti sotto le camicie a quadrettoni. Incredibilmente Milano questa sera è tutta spleen rurale: magia del folk. E finalmente negli attimi precedenti all’arrivo della band, gli ultimi di una attesa durata un’ora, le luci si spengono e quella che sembrava una mesta scenografia composta di reti da pesca spioventi e decine di lanterne si rivela suggestiva oltre ogni dire. Sul palco ci sono tre chitarre, due batterie, fiati, synth e altro ancora. Bon Iver inizia il concerto milanese con “Perth” e “Minnesota, WI”, le stesse tracce che aprono il suo ultimo disco ed entrambe perfette e entusiasmanti, mostrando da subito l’imponenza della band che ha poco a che vedere con la vecchia casetta del Wisconsin. La voce profonda e soul di Justin Vernon è cosa nota per i duemila presenti ma forse non si può dire lo stesso degli arrangiamenti, che nel live emergono finalmente in tutta la loro ricchezza e complessità nonostante la band di polistrumentisti non divaghi (quasi mai) né stravolga nessuno dei brani. Il repertorio di Bon Iver però è limitato e allora oltre ai pezzi del secondo album nella scaletta della serata trovano posto anche “Blood Bank”, tratto dall’EP del 2009, e “Brackett, WI”, contenuta nella compilation “Dark Was The Night”. Man mano che il concerto volge al termine iniziano ad arrivare anche i brani di “For Emma, Forever Ago”, fra cui una versione minimale e mozzafiato di “Re:stacks” che racchiude in pochi minuti tutto il segreto del magnetismo di cui Justin Vernon è capace. Il leader dei Bon Iver è infatti più carismatico e a suo agio di quanto non si creda, tanto da iniziare un breve dialogo col pubblico spiegando con le parole di Jeff Tweedy che la musica ha salvato anche lui. Sul finale, prima dei bis, prendono infine il sopravvento i riferimenti eighties: prima nella splendida esecuzione di “Calgary” e del suo crescendo emozionale e soprattutto dopo negli eccessi di “Beth/Rest”.
Al rientro sul palco dei Bon Iver ci sono solo due canzoni che mancano all’appello e il pubblico muore dalla voglia di cantarle in coro. “Skinny Love” e “For Emma” sono canzoni talmente belle che funzionerebbero suonate in qualsiasi maniera, due vette probabilmente irripetibili anche per lo stesso Justin Vernon che, una dopo l’altra, regalano la meritata chiusura epica e trionfale alle sardine paganti.
L’Alcatraz non è esattamente il luogo più adatto per esaltare una sensibilità come quella di Justin Vernon, eppure Bon Iver, senza che abbia fatto nulla di speciale (ammesso che portare nove musicisti su un palco rock non sia nulla di speciale), si congeda dal suo pubblico dopo averlo tenuto col fiato sospeso per una intensissima ora e mezza.
E anche se probabilmente la splendida serata non è stata memorabile come i più ottimisti si auguravano, la notizia più importante questa volta è la conferma del talento incredibilmente raro di Bon Iver, il quale senza alcun dubbio non mancherà di accompagnare i nostri disagi per molto altro tempo ancora.