Niente di nuovo sotto il cielo per la ditta Mumford and Sons. Babel conferma esattamente tutto ciò che già si era intuito con il precedente Sigh no more. Il gruppo londinese prosegue quel discorso iniziato tre anni fa, fatto di folk classico che più classico non si può e una prepotente tendenza a melodie pop a presa facile.
Ora, se la formula vi era piaciuta non potrà che soddisfarvi anche questa volta, anche se tutto è rimasto pressoché uguale e le melodie forse sono un po’ meno azzeccate rispetto all’esordio. Se invece tre anni fa la band guidata da Marcus Mumford vi era parsa la deriva facilona di un generale ritorno al folk che ha coinvolto un po’ tutto il pop occidentale negli ultimi anni, “Babel” di certo non vi farà cambiare idea. L’onnipresenza del banjo ad esempio annoia molto presto (ma questo è un rischio sempre alto, se non siete i 16 Horsepower), così come lo scontato alternarsi di cavalcate acustiche e momenti intimi (con generale superiorità qualitativa dei secondi sulle prime). Anche perché questo schema si ripete per ben quindici volte (dodici nella versione standard, ma in redazione ci è toccata la deluxe…), che di questi tempi può essere sì un atto di coraggio, ma decisamente più spesso è scarso senso della misura. La voce di Marcus resta comunque molto interessante ed intensa, così come l’innegabile talento melodico e lirico, ma sembra mancare la voglia di osare un po’ di più, per non rimanere lì, in quel limbo dove si cerca di accontentare tanto il fan dei Fleet Foxes, quanto quello dei Coldplay. Forse però la verità è che a i Mumford non interessa osare. Gli piace fare quello che fanno, che è comunque un dignitosissimo prodotto folk-pop, capace di arrivare a tantissimi e che li ha resi ormai delle pop-star.
Non barano questi quattro ragazzotti inglesi, su questo direi che possiamo essere certi. Quindi è inutile fare i pretenziosi, chi cerca progetti più cerebrali torni ad ascoltare i Grizzly Bear. Non è poi un caso che a chiudere l’album, almeno nella deluxe edition, sia “The Boxer” di Simon And Garfunkel, ispiratori più che evidenti per il sound della band. Cover di una hit di classe, praticamente identica all’originale, ma eseguita con tutti i crismi. E questa mi pare essere la prova tangibile che conferma definitivamente tutto ciò che è stato detto fino a qui.
(Federico Anelli)