L’assassino torna sempre sul luogo del delitto, come del resto il postino suona sempre due volte; nessuna velleità di citazionismo cinematografico, ma solo un modo come altri per affermare che se uno ci sa fare, doppiare sé stesso è cosa da ragazzi di classe. Dopo lo stupendo esordio con l’album omonimo nel 2010, tornano a battere cassa Caleb e Ashton Bird, i fratelli dannati dell’Illinois che rispondono al nome di Tweak Bird, e lo fanno con Under Cover Crops, un’attività eruttiva continuata di stoner, psich-rock, pollini di blues e pop che non fanno fatica a gareggiare per cristallizzarsi nel tempo; un disco spavaldo e sonicamente potente, un selvaggio scuotimento di membra e ferraglia elettrica che si accasa tra le convulsioni Zeppeliniane (“People”) e le linee melodiche ubriache di stazza Hole (“Weight”, “Buch O’Brains”), un mix di high force valvolare che stordisce anche per la patina sabbiosa che si trascina dietro da antichi e sfarzosi passati Sabbathiani.
Il duo restituisce la formula intatta dell’impatto sonoro attivo di marca hard, diretto come un upper-cut nella bocchetta dello stomaco, e dove, ancor più intatta, vive quella omogeneità d’insieme che dalla prima all’ultima traccia straccia ogni pur piccolo buco che possa esistere nella tramatura compositiva; prodotto da Toshi Kasai, il disco è una vera forza allucinata, chitarre fuzzate e spiriti in pena che si aggirano, fremiti spacey ed effluvi psichedelici che non si calmano un secondo, e dove il duo americano non lesina di iniettare divagazioni pop sottoforma di una stranissima canticchiabilità, ma sono cose filigranate e che vivono sotto la linea di demarcazione degli amplificatori a palla che, eroi di energia amperica, dettano legge e piacere massimo.
Dall’ossessione cantilenante di “Moans” alla ballatona storta de “Pigeons” il passo per valicare stati atmosferici cangianti è breve ma è con il sincopato impazzito che gravita in “Know it all” che si può toccare il compimento di un lavoro eccellente, una resistenza alcaloide che si mostra in tutta la sua fierezza casinara e junkie, artisticamente parlando ovvio.
(Max Sannella)