Cominciamo dal titolo e della filosofia che lo sottende: in un mondo che esalta la gioventù a tutti i costi (pagando spesso un prezzo salatissimo) è molto bello che un album si intitoli Vecchio, e che “Vecchio” non voglia significare né la stucchevole moda del ‘vintage’, né il vieto e falso concetto dell’ “oggi è una schifezza e prima si stava meglio”, né soprattutto quella mania tutta musicale di definire ‘rétro’ una band come i Thegiornalisti che di rétro non ha niente, e sa invece recuperare le diverse tradizioni della musica italiana (Battisti su tutti) e talvolta rinnovarle fondendole.
Poi, come gli stessi Thegiornalisti spiegano, in questo caso “Vecchio” è una parola che racchiude un modo di pensare, e di agire di conseguenza. “È sinonimo di saggezza, è il nuovo motto di chi vuole vivere lentamente e morire il più tardi possibile”. Vivi con lentezza, pensa piano, ascolta la musica col tempo che ci vuole: quella dei Thegiornalisti 2012 è da gustare infatti con una certa lentezza e senza fermarsi al primo ascolto, che non può rendere giustizia. Certamente, rispetto all’esordio fulminante di Vol.1, che aveva messo d’accordo proprio tutti (critica, pubblico, salotti e salottini indie pop, indie rock e indie snob), il nuovo album della band romana all’inizio sembra appiattito come una piadina, quando invece il “vol 1” era una bistecca ala fiorentina, ma “Vecchio” è soltanto meno immediato, e anche se conserva una gran piacevolezza d’ascolto, acchiappa senza dubbio di meno: del resto, i Thegiornalisti hanno voluto così, hanno cancellato tutti i riverberi (“chiusi nei cassetti con i vestiti dell’anno passato”), tolto ogni effetto alla voce di Tommaso Paradiso che qui diventa molto più scarna, come le chitarre, mai più ‘pettinate’ e giovanissime con le corde attraversate dal vento, ma invece graffianti a secco e un po’ raggrinzite come le sagge rughe degli anziani. Così, “Vecchio” significa anche quel crunch d’altri tempi che affiora da ogni brano, con una batteria diventata il punto d’equilibrio di un impatto sonoro da appassionati, e il basso come sempre in primo piano. C’è la novità del pianoforte, che però non ammorbidisce le rughe: perchè è vero che il botulino fa schifo e trasforma spesso in inguardabili mostruosità, ma un po’ di crema idratante fa pur sempre bene. E poi, se siamo giovani come i Thegiornalisti, non ce n’è nemmeno bisogno, e quindi perchè invecchiare prima del tempo?
In sintesi: a volte lasciare la via vecchia per quella nuova troppo presto può essere un passo falso. Ci piacevano di più i Thegiornalisti dell’esordio. Non ci entusiasma il beat Duemiladodici di “Pioggia nel cuore”, e se dobbiamo ascoltare “I gatti” e pensare a Brunori sas, o sentirci del Dente in “Il tradimento” e “Diamo tempo al tempo” (che pure è uno dei brani più belli del disco), preferivamo i vecchi Thegiornalisti che talvolta (“Autostrade umane”) ci facevano sospirare come Lucio Battisti.
(David Drago)