Tempi indimenticabili i Novanta dal versante del gipsy-world, per intenderci quelli della patchanka figlia dei Les Nègresses Vertes, e che band come i Manonegra, Manu Chao, ora i Gogol Bordello (ma in una forma più circense) ed in Italia i Mau Mau ne hanno tramandato la scintillante attitudine di sparare verità, ritmi incandescenti ed euforie di massa in una botta caliente di festa mobile senza fine; ora non è rimasto quasi nulla di quei tam tam popolari internazionali, solo ricordi e pugni chiusi riaperti, ma il ritorno sulle scene di Luca Morino, ex voce dei Mau Mau ora a capo del progetto/logos Morino Migrante & Combo Luminoso con il disco Vox Creola prova a riaprire quei canali world/gispy colorati di sudore e umanità bloccati dalla sedimentazione della stupidità “furba” modaiola e reazionaria.
Un disco strepitosamente roots-oriented come la meglio tradizione dell’artista torinese impone e lasciatemelo dire un disco magnifico e che fa ponte con i grandi amarcord che gravitano intorno a Sauta Rebel, Eldorado, Dea (per citarne alcuni), un disco carrettero e caracollante che racconta storie, vite, donne, poesia, viaggi, santità e diavolerie di strada con una forza trascinante che poi non è altro che l’identità artistica di Morino, il suo modo schizzato di essere al centro di un mondo di serie B da far girare e vivere come dovrebbe, capovolgendone l’assetto e le ambizioni; tredici tracce che non si fermano un secondo, tracce che girano intorno a follie d’oggi (“Ballata per Mira”), ballata dedicata al lavoro e a Mirafiori, lo scatto rock di “Fino all’ultima spiaggia” traccia sulle “previsioni sociali” che un lontano Pasolini profetizzò in tempi non sospetti, la tribalità rivisitata dell’hit del 1975 di Johnny Walker (In Zaire) che vuole omaggiare il match di boxe del 1974 tra Muhammad Alì (Cassius Clay) e George Foreman a Kinsasha e che ora l’artista Morino ha titolato “Rumble in the jungle”, un album di lotta – magari meno dentata del passato – ma che comunque denuncia e mette alla berlina le ingiustizie di un vivere sempre ai bordi dell’esistenza se non addirittura della sopravvivenza, come in “As dis”, rumba orientaleggiante ed incazzata in lingua piemontese sul monopolio dei “Sheik” delle Langhe, i potenti del vino che l’artista paragona al Cartello di Medellìn della coca.
Etnico nel sangue e nel midollo del pensiero, il disco si agita a dovere, fa prendere e riprendere una certa coscienza su quello che ci circonda, lo sfruttamento della manodopera straniera (“Campi di battaglia”), la pantomima folklereccia che zompetta nei destini di un qualcuno (“Scartaciuk”) o nell’incrocio tra elettrico e acustico di “Lost in Fondovalle” uno stringimento di cuore e tromba Morriconiana che pare incrociare le visioni ribelli di Ray Cooder e delle tante umili terre da salvare e da abbracciare come capitale umano e mondiale, poi profumi intensi di vino rosso, sudore raccolto e fiati consumati fanno il resto e ci confezionano un disco di grammatura, magnifico connubio tra libertà, voglia di vivere e occhi che guardano altri occhi senza abbassarli. Bentornato Mau Mau Morino, ne sentivamo la voglia.
(Max Sannella)