Capita di rado stupirsi quando un nuovo disco convince ancora come fosse il primo, ma quando capita capita e i californiani Thee Oh Sees col nuovissimo album Putrifiers II, ne sono una delle scoppiettanti conferme, forti di un modo di suonare rock come fosse psilocibina che passa nelle vene, tra curve, angolazioni, tuffi perpendicolari e risalite eruttive, un forte capogiro sonoro che nella raggiera compiuta di dieci tracce si arriva a sommare l’equivalente di una micro punta Ginsberghiana sotto la lingua al tempo delle burrasche artistiche Dada.
Una band sotto l’effervescente mente del leader John Dwyer – che la critica spaccata in due lo addita sopravvalutato o troppo criticato – ma il nostro comunque ci sa fare, stravolge insieme ai suoi loschi compari di suono un garage dalle forti connotazioni surf-psichedeliche, un’imponente estensione sonica disciolta appunto nella lisergia che a tratti perde la concezione per guadagnarci in emozioni intense, drogate e che lasciano libero sfogo ad altre influenze che qua e la fanno capolino trasformando il tutto in un giocoso rimando ipnotico, diciamo allucinato al quadrato.
Per essere l’ottavo album e senza perdere mai un’oncia di tensione, è un prodigio underground di quelli che mai te lo aspetteresti, in poche parole uno show che “si ascolta”, suoni pimpanti, tinte freak, stralunate divagazioni che pongono l’accento su queste composizioni che sono il punto di forza espressivo di questa formazione alcaloide, dieci dimensioni surreali e fantastiche che si attaccano al respiro ed incantano all’inverosimile; una perfetta accolita di sognatori questi Thee Oh Sees, un album che fa grammatura e piazza pulita tutt’intorno, una fiamma di suoni e pulsazioni come nel punkabilly scardinato a dovere (“Wax face”), tra la frescura estiva di una Bay Area spensierata (“Hang a picture”, “Goodnight baby”), attraverso la pelle d’oca che “So nice” fa venire seguendo il suo mantra-irlandese disturbato da corde lancinanti e sregolate, poi un bello slow lunare Sixteen (“Will we be scared”) e via di corsa a replicare all’infinito questa tracklist incredibilmente rimarchevole.
Sacrosanto, quando capita capita, e stupirsi oggigiorno con una band che tanti dischi fa e tanti dischi azzecca non è cosa fitta; entrate in questo bel mondo degli Thee Oh Sees, vi crescerà esponenzialmente col tempo la voglia e la curiosità di andare a fondo nelle loro produzioni, anche partendo da qui, da questo ammasso di suoni e riverberi che hanno di nuovo centrato il bersaglio.
(Max Sannella)