Come una fenice che rinasce dalle ceneri, i Dead Can Dance sono tornati ancora una volta per impreziosire il nostro mondo, per imprimere a una natura immanente il loro marchio ultraterreno di musica. Sedici anni sono passati da Spiritchaser e oggi i Dead Can Dance tornano sulle scene con Anastasis in uscita il prossimo 13 agosto per la PIAS Recordings; poi il duo partirà per un tour mondiale che toccherà anche il Bel Paese il 19 ottobre con la data di Milano al Teatro Degli Arcimboldi, andata già esaurita in tempi record.
La copertina di Anastasis con i suoi girasoli bruciati dal sole e pronti per essere tagliati, simboleggia la risurrezione (dal greco ἀνάστασις ): ciò che è morto un giorno danzerà ancora, sembrano suggerirci. Come il loro lungo silenzio che non si è certo trasformato in morte.
“Ho pensato ‘Anastasis’ fosse un buon titolo per la nostra reunion”, spiega Brendan Perry che con Lisa Gerrard formò la band a Melbourne nel 1981, pubblicando sette album in studio e un disco dal vivo prima di separarsi dopo ‘Spiritchaser’ del 1996. “‘Anastasis’ vuol dire anche ‘fra due periodi’”, aggiunge Perry, “La rigenerazione avviene con la stagione a venire”. Il titolo perfetto per un album che segna la sorprendente rinascita del suono e della visione di questo leggendario duo. L’età non ha smorzato la bellezza, la potenza e il fascino enigmatico dei Dead Can Dance. La parola greca rappresenta non solo il significato dell’album ma anche l’origine della musica. Mentre Perry riesce a percepire echi del passato musicale del duo, “attraverso tutto il nostro catalogo”, afferma che il cuore di ‘Anastasis’ si trova nel mediterraneo orientale, dalla Grecia alla Turchia fino al Nord Africa. “La musica che ascolto e ricerco diventa inconsciamente e consciamente parte del progetto, e per questo album sono stato affascinato dagli elementi classici immutabili della cultura Greca, la profondità della loro musica e il loro amore per la canzone che non trovi nell’occidente; il modo in cui si sposano filosofia e canzoni d’amore con l’aggiunta di un po’ di scienza. Amo le influenze che arrivano dall’essere un crocevia fra l’est e l’ovest, il mosaico caleidoscopico di queste culture fuse, mentre più a ovest vai più la società diventa mono-culturale”.
Dalle note di apertura di “Children of the Sun”, pezzo di una bellezza disarmante, si capisce subito che ci troviamo di fronte a un disco colossale. L’armonia ossessionante di strumenti orchestrali abbinati a ritmi pulsanti di archi e sitar ammalia e pone l’ascoltatore in uno stato di estasi ieratica. Il brano iniziale è un inno maestoso, una cavalcata trionfale verso il punto più alto del cielo, fino a toccare il sole con un dito. La voce inconfondibile di Perry incanta dopo pochi istanti, e ha inizio il viaggio verso l’ignoto. Con ”Anabasis” sia ha la prima apparizione vocale di Lisa Gerrard, il ritorno della sacerdotessa e della sua affascinante glossolalia, tanto per restare in ambiente classicista. I suoni grondano di aldilà, di filosofia e metempsicosi. Si apre così una finestra sull’Oriente in quella che è una misteriosa e commossa preghiera. Come una moderna Pizia in ”Agape” la Gerrard declama il suo amore esoterico fra percussioni antiche e sitar ipnotici. Il cantato solenne e distaccato di Perry in ”Amnesia” crea invece un incantesimo malinconico sorretto da archi imponenti. Una raffinata bellezza unita a un suono splendido ed eterno e infusa di un sapore ellenistico. In “Kiko” battiti tribali emergono da una lotta ascetica e la voce di Gerrard galleggia in una dolce confusione. Si evoca un misticismo arabeggiante in questa fascinazione incantata lunga otto minuti che ci regala uno stupendo assolo finale di chitarra. “Opium” è una confessione d’inquietudine firmata da Perry che così rivela, ”Sometimes I feel like I wanna fly”. Ritmi cadenzati e percussioni etniche ne fanno un momento di potente angoscia. In un attimo “Return Of The She-King” ci trasporta nelle Highlands della Scozia. E le voci di Brendan e Lisa tornano finalmente a mescolarsi insieme fino a confondersi in un vapore divino. Il delicatissimo intro di voci eteree come un coro di angeli, accoglie il sinfonismo della Gerrard, come in un saga epica. Perry entra trionfante, sostenuto da una fanfara melodica e solenne scandita da lenti colpi di tamburo e accordi infiniti di cornamuse. Il disco-capolavoro si chiude con ”All in good time”, composizione fuori dal tempo per un Perry in solitudo la cui voce dimostra per l’ennesima volta una profondità emotiva senza eguali. Un baritono magnetico che ipnotizza l’ascoltatore, affascinato da una sezione d’archi oscura e intensa.
Risulta sin troppo facile dichiarare che questo Anastasis è di gran lunga il miglior ritorno del 2012. Gli sciamani dell’ignoto sono di nuovo fra noi pronti ad andare a caccia di sogni. Impastando atmosfere sognanti ed eteree, con arrangiamenti sinfonici e con l’elettronica sposata a sonorità etniche e tribali, i Dead Can Dance danno vita a momenti sonori struggenti e magnetici. Ne emerge una continua lotta, mistica e vivificante che altro non è che il potere della musica celeste. Nonostante una pausa lunga tanti anni, nonostante un rapporto personale finito, vien da pensare che Lisa e Brendan non abbiano mai smesso d’amarsi e di amare la purezza dei loro suoni. Un amore non convenzionale, una pietas fraterna che unisce due menti estreme già creatrici di perfezione. Di fronte ad Anastasis forse le parole sono superflue, perché se provoca stupore, commuove e non può essere spiegato allora il suo nome è Bellezza.
(Beatrice Pagni)