Chicago da sempre incrocio internazionale di linee e vite, patrimonio di idiomi e orme umane nonchè sinfonia urbana di suoni, velleità, atmosfere e nuove avventure, una città che conta e che colpisce non solo per la sua aggressività reale e cinematica, ma piuttosto per le mille prerogative di opportunità che offre disinteressatamente a chiunque vuole musicare le sue idee pazze, sbilenche, migliori.
Ed è qui che si riallacciano i destini sonori di Tim Delaughter (Polyphonic Spree) e l’amico di sempre Philip E Karnats con cui Delaughter già aveva condiviso esperienze nei Tripping Daisy e Ike Reilly, un incontro insperato che prende fuoco immediatamente sia nel moniker d’aggancio artistico Preteen Zenith, che nel groviglio di idee e materiale che i due artisti sfogano in un fantastico album battezzato Rubble Gutz and BB Eye, una miscellanea psichedelica stupefacente (in ogni senso) che in nove tracce ti mette in pace con te stesso e con i “mondi” intorno, un mix di suoni che incrocia avanguardia, pop-tronica, echi indie e sinfonie weird tutte raccolte in un unico fluido che scivola nell’ascolto con la stessa identità di una pozione rinfrescante, rigenerante, vitaminica.
Nove tracce ed una moderna sensibilità, una fantasia vorticante da juke-box dello spirito che centrifuga un repertorio ora stordente ora colorato di sbiadito, una festa di versatilità che non ha punti fermi, tutto gioca a risuonare approcci e derive che fanno forza su sistematiche riscoperte surfing corali (“Relief”), si adoperano per mantenere intatte originalità sottoforma di cantilene al tramonto (“Damage control”) in cui interviene la scia illuminante e sognante di Erykah Badu, si vestono di un leggero velo di dubbiosità English (“Pedding”) e si fanno un bel giro di giostra indolente sulla ballata color cenere (“Overcome”), una ricchezza di malinconia Beatlesiana nei doppiofondi che evoca inverni e foschie da respirare in solitaria; la finale “Late” ci porta sulle onde medie di una trasmissione non ben centrata dalla manopola di un apparecchio Mivar fuori fase, solo un lontano slow di piano di un qualche programma che si eclissa nel traffico dell’etere di ex meraviglie.
L’album è una scoperta piacevolissima, un modo in più degli altri di appassionarsi ad istinti diffusi come una missione creativa da sprigionare, ed il messaggio degli Preteen Zenith è quello di far sognare in buona compagnia fino a spingere l’orecchio ben più in la dei soliti vuoti viaggi a rendere, ed il costo biglietto vale comunque la spesa.
(Max Sannella)