In tre giorni 60 band. Improbabile se non impossibile vederle tutte. Nomi emergenti, sconosciuti, rinomati o redivivi. Tutto questo è stato il Miami 2012. Nel consueto scenario del Circolo Magnolia il “festival della musica bella e dei baci” ha mietuto le sue vittime: una colorata brigata di fauna multigenere che ha invaso palchi e bancarelle. Perché il Miami, volenti o nolenti, è l’Evento. Tanti si lamentano perché la scaletta è scadente, manca quell’artista fondamentale, eccetera. Poi li trovi sempre lì, in prima fila, con il broncio critico mentre fotografano la band con lo smartphone. Contraddizioni. Le contraddizioni di un festival che raccoglie uno spaccato della musica italiana chiamiamola ancora “alternativa”. Le scelte sono personali, Rockit sceglie, sta al pubblico decidere cosa seguire. Con il programma sempre a portata di mano faccio una selezione accurata delle band che voglio vedere. Poi segno quelle che mi capita di vedere per curiosità, per caso, perché tutti me han parlato bene: il sacrosanto passaparola. Ogni giornata ha avuto alti e bassi, chicche e sorprese. Contando che sarà sempre e solo una visione parziale del circo noto come Miami.
Primo giorno. Il Torcida presenta la nuova scena hip hop, rime e quantaltro non riescono proprio a conquistarmi, pregiudizialmente salto tutta la programmazione. Il Pertini apre con i Kramers, giovane formazione genovese che mescola cassa dritta e percussioni tropicaliste, flauto e tastiere, passando da atmosfere danzerecce a sonorità più distese. A seguire i Bad Love Experience livornesi portabandiera di un rock classico ben suonato. Sondo il terreno della Collinetta con i malinconici Intercity per poi tornare verso gli Amor Fou. Il pubblico è già numeroso e non sono ancora le 9. Sul palco due fenicotteri rosa e un dinosauro, avete presente quei palloncini gonfiati di elio che si trovano alle sagre? proprio quelli. Il quartetto entra con maschere e un abbigliamento stravagante, una metamorfosi folle ha investito i dandy bohemien e li ha catapultati negli anni ’80. Sonorità stravolte che non spaventano i fan. Tutti già a cantare i nuovi brani con entusiasmo. Decido di abbandonare Pertini per Nicolò Carnesi, la massa incolta dei suoi capelli lo precede, poi arrivano i suoi versi realisti e ironici “tu senza scollatura sei come me senza chitarra” e ancora “le scimmie allevate nei cortili sono più intelligenti delle menti promettenti”. La produzione di Brunori si sente, soprattutto in “Zanzibar” però il quadro d’insieme è interessante. Dalla nuova canzone d’autore agli Aucan; creatura multiforme ad alto contenuto adrenalinico che scatena il pubblico sempre più numeroso. L’elettronica in bocca al trio bresciano ha un fascino pericoloso, la forza dirompente prosegue per tutto il live innescando le teste. Sull’altro palco faccio in tempo ad ascoltare le ultime due canzoni di Umberto Palazzo, spogliate da orpelli, solo voce e chitarra. Una classe malinconica che scivola nel rock-and-roll de Il Pan del Diavolo. Il duo siciliano chiude la serata musicale della Collinetta e lo fa a modo suo: con la grancassa di Alessandro, la dodici corde di Gianluca e altri due membri di supporto. Sentire una batteria completa con percussioni ispessisce il sound e la seconda chitarra, elettrica per di più, aggiunge volume. I brani di Piombo, polvere e carbone sanno dove e come colpire, ma i brani del precedente album dimostrano che “il pan del diavolo c’è” per davvero. E anche la gente risponde al richiamo, persino pogando. E il primo giorno finisce così.
Il preludio per il secondo giorno non è dei migliori, anche se le band in programma si rivelano piuttosto valide. Il richiamo del r’n’r inizia a farsi sentire da subito con i Verily So. I cecinesi sanno dosare energia e quiete, inserendo nelle canzoni elementi Nineties. Giovani, carini e carichi potrebbe essere lo slogan per i Foxhound, la cui energia contagia i piedi dei frequentatori della Collinetta. L’ascolto è breve perché sul Pertini ci sono quegli animali da palco noti ai più come Fast animals and the slow kids. La loro irriverenza nei testi, “la realtà è stronza e ti bacia in bocca”, si poggia su del buon hard rock dalle sfumature un po’ tamarre. Cassa dritta e bassi sono fondamentali, come spiegano durante il finale dell’entusiasmante “Lei”. E anche se il palco è alto e sotto non c’è gente disposta a prenderti Aimone si butta, sbatte un ginocchio e continua la performance convincendo e vincendo la palma di più spericolato. I Cosmetic sono un’altra conferma. Il nuovo album Conquiste aggiunge altre distorsioni alla musica, tra feedback e pedali la voce si sente a suo agio. Mi aggiro tra i palchi ascoltando spizzichi e bocconi di musica, rock’n’roll in gustose e variegate sfumature. Dal roots dei Peawees e Mojomatics, formazioni ben diverse ma la cui via è ben segnata nella tradizione americana. Più “modiaioli” gli Hot Gossip con le loro venature electro, mentre i Movie Star Junkies puntano tutto sul carisma e l’energia. Finisco anche a vedere i Persiana Jones, scorci di adolescenza ska punk, persone che saltellano e pogano. E poi Bugo, con al sua giacchina damascata, che canta “fammi entrare per favore nel tuo giro giusto!”: l’emblema della serata, anche se la sua è tutta ironia. Il sabato concede ottime divagazioni elettroniche non solo tra i dj set, da segnalare i vinili dei Barking Dogs, ma anche tra le live band di matrice electro. I Drink to me hanno superato gli inghippi tecnici, voce quasi assente, premendo sull’acceleratore e portando a casa un buon set. Le percussioni e i beat elettronici dei Did sanno come conquistare, non ho verificato se indossano ancora le incerate gialle ma il sound ha reso più che a sufficienza.
Infine arrivò anche la domenica. L’atmosfera rilassata viene scossa dai Gentlemen’s agreement che arrivano festanti tra le bancarelle e salgono sul Pertini e cominciano il loro show istrionico. Napoletani dall’accento verace, si prodigano su canzoni divertenti sostenute da un gigantesco contrabbasso e sui tamburi. Riff eleganti e distesi sulla Collinetta con i Man on Wire, chitarre acustiche e hollow body accompagnano il cantanto inglese. Invece l’italiano è la lingua e l’ispirazione dei Il Triangolo. Giovani che si vestono e cantano come se fossimo ancora negli anni Sessanta e il rock’n’roll di Celentano e company fosse in vetta alle classifiche. Motivetti che catturano e movimentano il pubblico. Di ben altra ispirazione i beat de Lo Stato sociale. Basso, chitarra e drum machine per sottolineare invettive serie e seriose, sempre recitate con la giusta faccia tosta. “Sono così indie” recita i luoghi comuni di cui quasi tutti i partecipanti del Miami sono vittime. E la gente, piuttosto numerosa per uno show delle 20, ironizza sui propri difetti. “Mi sono rotto il cazzo” e “Abbiamo vinto la guerra” svelano il lato più critico del gruppo, dalla politica inesistente ai giornalisti musicali. Il colore certo non manca quando i cinque musicisti si gettano anche nelle danze coreografando la loro canzone “Quello che le donne dicono”, che parte in rigoroso playback stile Non è la Rai. Lo scenario cambia di nuovo e radicalmente. Sparisce la voce e il sound country-blues dei Ronin si impossessa del Pertini. Bruno Dorella alla chitarra detta Legge sul palco. L’America sembra a pochi passi. In Collinetta è il turno del palermitano Fabrizio Cammarata, canta in inglese versi semplici e curati. Quando poi si cimenta ella sua versione di “Llorona”, una canzone tradizionale messicana: l’emozione fuoriesce da ogni singola nota. Una vocazione estera è manifesta nell’ultima band che si esibisce, gli A classic education. Un gruppo solido e affiatato che con Call it blazing esplora il sound diretto e senza troppi fronzoli del rock. Intanto sul Pertini c’è un’altra band emiliana. Gli Offlaga Disco Pax proseguono con il disincanto di sempre a tracciare i ritratti di Gioco di società. L’onore di chiudere il Miami 2012 spetta alla Brunori Sas. Il rappresentante del nuovo cantautorato italiano sa come conquistare il pubblico. Con o senza baffi, Brunori ha tutte le carte in regola. “Lei, lui, Firenze”, “Rosa” e “Guardia ‘82” sono alcuni esempi di quanto Dario Brunori abbia la possilità di arrivare ad un pubblico sempre più ampio e sempre più esterno alla nicchia.
Dopo tre giorni di musica fare un bilancio è difficile, per ogni band che ti ha conquistato senza troppi preamboli, ce n’è un’altra che invece ha deluso le aspettative. È la dura legge del Miami. Che il 2013 porti qualche curiosa novià.
(Amanda Sirtori)
foto Jessica Bartolini