Il bambino dall’aria innocente raffigurato sulla copertina di The Ages Of Dreams, nuovo Ep dei milanesi Starcontrol, sembra avere una lontana somiglianza e parentela con il ben più incazzato ragazzino che capeggiava sulla copertina di War, terzo album in studio degli U2. “Gli anni dei sogni” dei due ragazzini però sembrano non coincidere: mentre quello irlandese ha lo sguardo duro di chi è dovuto crescere troppo in fretta e fare i conti con le asperità della vita già in tenera età, il Nostro ragazzino italiano invece ha un aria seria, deciso a portare avanti il sogno di fare musica e magari diventare talentuoso e famoso proprio come quei musicisti irlandesi. La band di Bono non è citata a caso, perchè nelle 5 tracce che compongono questo ep si scorgo alcune delle sonorità caratterizzate da un bruciante urgenza new wave presenti nel disco dei quattro di Dublino, il brano “Question Mark” ne segue il passo con appassionante dedizione.
Ma le influenze degli Starcontrol non si fermano qui, hanno imparato la lezione di alta sartoria musicale proposta dai Maestri di un genere mai sazio di nuovi adepti, il post-punk del trittico Joy Division/ The Sound / Echo & The Bunnymen, imbastendo un bel vestito scuro dai fini ricami di pianoforte che riesce a donare una luce romantica e meno cattiva all’assalto delle chitarre appuntite. Usano del filo nero per cucire “Persian Carpet”, “Heart Becomes A Cage” e la conclusiva “Forever Unknow” alle primissime evoluzioni soniche degli Editors, brani pronti a scagliare le proprie schegge intinte in un nettare velenoso che infetta il cuore di chi ama questo tipo di suoni e ne viene a contatto. “A Dream” invece riesce a placare per qualche minuto la tensione generata fino a questo momento, grazie anche alle sue chitarre sognanti ed eteree che sorreggono un testo in cui il fulcro centrale e ossessivo è dato dalla frustrazione di vivere una vita scelta da altri e di un sogno che non ci vede protagonisti. Robert Smith sarebbe fiero di questa canzone.
The Ages Of Dreams si affianca con gran coraggio e merito ai dischi italiani di altre band che hanno fatto della new wave e del post punk il proprio credo, mi riferisco alla “scena marchigiana” in cui militano Sovie Soviet, Be Forest e Damien* (con i quali hanno in comune anche il luogo in cui sono avvenute le registrazioni, lo Studio Waves di Pesaro), e riesce a superare di gran lunga il limite tracciato con il precedente lavoro discografico, l’ep omonimo del 2011, infangato fino al bacino nelle sabbie (im)mobili di una corrente musicale tanto affascinante quanto inflazionata. Con queste nuove soluzioni invece, l’aggiunta di piano e la consapevolezza di saper dare di più, il percorso diventa molto più appagante e ricco di tonalità che non abbracciano solo quel passato colorato di bianco e nero.
Il ragazzino in copertina ha ancora lo sguardo carico di illusione, non sa cosa gli serba il futuro e non immagina che il suo Paese, l’Italia, mal digerisce band che sposano un altro idioma, soprattutto quando si tratta di rock. Il consiglio è quello di battere la strada estera così da non perdere quella purezza che gli si legge negli occhi e di continuare a sognare perchè i sogni possono sì essere spezzati in tenera età, ma possono anche durare per tutta la vita, quasi fino ad avverarsi.
(Antonio Capone)