La paura ha il sapore dell’acciaio, è una lama sincopata che affonda nei suoni e li rende agonizzanti. Una tensione continua che pervade il nuovissimo volume, il decimo ed ultimo, degli split Phonometak. E dispiace essere giunti alla fine di questo progetto che nel corso degli anni anni è stato una fucina di nomi underground dediti agli sperimentalismi più impensati e sicuramente unici.
Pura avanguardia e sperimentazione sono le coordinate costanti della famosa serie gialla ideata dalla Wallace Records di Mirco Spino e Phonometak Labs. E in questo ultimo capitolo troviamo ben due esordi: si tratta infatti della prima pubblicazione dei lavori solisti di due chitarristi che hanno fatto la storia della Wallace Records e di una buona fetta di underground italico: Paolo Cantù e Xabier Iriondo sono state le chitarre dialoganti di Six Minute War Madness, Afterhours, A Short Apnea e Uncode Duello e dei primi e degli ultimi Tasaday. Ora si ritrovano di nuovo sullo stesso supporto ma ognuno a farsi gli affari suoi, da solisti per l’appunto, portandosi dietro un densissimo background. C’è libertà da ogni schematismo, improvvisazione e ricerca continua. Un gioiellino di puro avantgarde per gli amanti esploratori del corpo sonoro.
Paolo Cantù disegna il lato A del disco proponendo quattro tracce in cui la chitarra è una presenza costante: “Huljajpole” è un brano essenziale ed ammaliante che su arpeggi sintetici innesta suoni provenienti da terre lontane, quasi un canto etnico dell’Est Europa. Contorte percussioni introducono “The big bounce”, e l’atmosfera diviene frammentata, una sfera di vetro che esplode in mille pezzi. Piani acustici in sovrapposizione, loop di chitarra misteriosi e manipolazioni elettroniche. Decadente estrosità in “Cosmetic Cosmic City” per un cantato macabro e sussurrato. Con “Ityop’iya” le percussioni si fanno metalliche, c’è polvere industrial e riverberi lontani. Grande chiarezza espressiva e massima ricerca, Cantù dimostra di saper essere un visionario razionalista.
L’altra faccia del disco porta il nome di Xabier Iriondo alle prese con sperimentalismi distorti e compulsivi. Due lunghi brani in cui i samples abbondano e l’elettronica si fa esplosiva. In “The 78RPM Legacy” Iriondo compone un collage di campionamenti di vecchi dischi, dialoghi, suoni impolverati, canti popolari e motivetti anni ’30. Collage che subisce un vero e proprio bombardamento acustico grazie a vortici lacerante e ritmiche disturbate. E con “Elektraphone Eta Euskaldunen Pelota Jokoa”, si vive la catarsi sonora: una messa in lingua straniera, archi nervosi, suoni barbari. Una trasudante furia instabile vicina alla pace, quella degli applausi finali.
Si chiude così il capitolo conclusivo di quella che è stata una scelta coraggiosa, di una spinta propulsiva verso ciò che è ritenuto inusuale, difficile. Vicini alla destrutturazione sonora, oggi preziosa e rara, Cantù e Iriondo hanno frammentato e poi proiettato nello spazio d’ascolto, fisico e mentale, il polimorfismo del suono, attuando un lento ma inesorabile accumulo di energia sonora. E si sono addentrati così in un’avventura musicale in forma libera e di impeto straordinario.
(Beatrice Pagni)
Sito Xabier Iriondo – Sito Wallace – Sito PhonoMetak
Paolo Cantù, Huljajpole