I titoli dei capolavori agli albori del free jazz ne sono manifesto: “Spiritual unity” e “Complete communion” indicano la destinazione, guadagnata sì scardinando regole melodiche e armoniche, ma soprattutto sfoderando intensità senza pari. Specularmente (segue osservazione degna del necrologio di Monsieur La Palisse) giunge a destinazione e diventa memorabile il concerto che veicola senso di necessità, urgenza: l’esibizione di Stefano “Edda” Rampoldi presso la Darsena, prezioso club sulle sponde del lago Trasimeno, è indubitabilmente riuscita nel piccolo miracolo di evocare lo sfuggente spettro che squarcia per due ore la pluralità individuale del pubblico e ne forgia l’unità.
Dopo sei anni di silenzio Edda è tornato alla musica: i due lavori, Semper biot ed il recente Odio i vivi, poggiano sulle fondamenta di rapporti d’amicizia, non di professione e non dovuti, Walter Somà ed Alessandro “Asso” Stefana il nucleo, cui si è aggiunto, affascinato, il giovane e talentuoso Sebastiano De Gennaro. “Semper biot” contiene in sé l’essenza del nuovo corso di Edda, sia fonologicamente, con il suono aspro delle parole ad evocare una scrittura che non fa sconti alla pesantezza del reale, sia semanticamente: “semper biot” significa infatti sempre nudo in dialetto milanese. La voce e le parole di Edda bruciano e non danno scampo; eppur nel secondo capitolo si affaccia timidamente la levità del suono, piccolo indizio della persistenza di un incanto. Ostinato, nonostante tutto. Sul palco della Darsena la verifica di questa intuizione. Il muro di suono è imponente, quasi disturbante: distorte e sgraziate le chitarre di Asso ed Edda, poderose le percussioni e minacciose le incursioni elettroniche di Sebastiano De Gennaro. La voce di Edda si inerpica ad altezze impensabili, potente ma timida, sofferente.
Simile impatto stimola la ricettività ad un livello superiore e crea un ambiente da cui non si può sfuggire. Ed è qui che va in scena la redenzione: l’unità conquistata scioglie la tensione, Edda diventa sempre più scherzoso, autoironico, disinvolto, canta mirabilmente la pesantezza con leggerezza. Il pubblico chiede bis a ripetizione: il concerto si chiude con il nostro che, terminata la scaletta, ripete alcuni brani e non resiste all’impulso di lanciarsi ad abbracciare il pubblico. È appena andata in onda la musica come necessità. Un concerto che manda a casa felici di avere le orecchie che fischiano e con l’illusione, o forse la piccola verità, di essere un po’ più uniti.
Testo e video: Davide Astolfi