Forse il nome di Diego Perrone non vi dirà niente, lo so… ma se vi dicessi che è il cantante dei Medusa? Nemmeno così? Ok, allora vi dirò che è “quello che canta con Caparezza”, che però è un po’ riduttiva come definizione per le capacità del vocalist torinese e questo disco dal titolo tanto poetico quanto lungo è giusto la prova tangibile di quanto sostengo.
Dove finisce il colore delle fotografie lasciate al sole è un lavoro intimo e allo stesso tempo primaverile, estroso nel suono ma anche carico di parole che pesano e che raccontano molto di chi questo disco lo ha composto; tutto ciò si intuisce subito fin dal primo pezzo, “Uno di quei giorni”, un brano dal sound pop-elettronico scanzonato e divertente in cui Perrone teorizza una fuga dalla frenesia del mondo e dai problemi quotidiani per rifugiarsi in una natura incontaminata da cui lasciarsi cullare.
“Cambia sempre” si muove sulle sonorità di una chitarra acustica, ben coadiuvate da spruzzate di batteria e basso; quello che ne esce fuori è un pezzo lieve e malinconico, in cui si dà risalto allo splendido testo, che racconta di come la vita, nel bene e nel male, sia sempre in grado di sorprenderti anche quando pensi di aver visto tutto e di avere l’esperienza necessaria per affrontare ogni giorno. In realtà ogni giorno “cambia sempre”. La successiva “Jackie Threehorn” è quasi un pezzo dub, fatto di elettronica minimale che tanto ricorda certi pezzi dei Subsonica, anche nel cantato di Perrone; il tema è ancora una volta quello della fuga, una fuga da una realtà stantia e logora(nte) verso un domani nuovo, in cui i colori siano ancora vividi (e non sbiadiscano come le foto). “Rainy baby” si dipana tra synth e suoni ammiccanti e accattivanti, in bilico ancora una volta tra pop ed elettronica minimale, indubbiamente un brano molto radiofonico, che a tratti ricorda una certa parte della discografia di Prince, che viene poi omaggiato apertamente con la successiva cover di “Pop life”, pezzo a cui Perrone dimostra di essere molto legato, dandone una lettura personale ma in cui si percepisce il suo “essere fan” dell’artista di Minneapolis. “Santostefano” è un pezzo ritmato ancora una volta caratterizzato dall’elettronica e impreziosito dalla partecipazione di Michele Salvemini, alias Caparezza, nella seconda parte, che diventa un rap-dance su cui è impossibile non mettersi a ballare e farsi trascinare. Arriva poi la seconda cover del disco e stavolta ad essere omaggiato è Franco Battiato, con la sua “Summer on a solitary beach”, pezzo che Perrone ha scoperto ed adorato fin da bambino e di cui restituisce l’infinita poesia e genialità “made in Battiato”. Ritmo da videogame per l’avveniristica “Surf 2012″, brano apocalittico in cui il cantante dei Medusa immagina Torino come Venezia, con canali che arrivano fin sotto i portici e i surfisti in città; possibili scenari tratti da un futuro in cui i ghiacci si scioglieranno. Sarà il caso di comprarsi una tavola?
La chiusura è affidata ad un pezzo praticamente strumentale, che altro non è se non la lunga coda della precedente “Surf 2012” e che Perrone ha intitolato “We all made for love” perchè è questa l’unica frase pronunciata da un vocoder; assolutamente un brano che vale la pena sentire fino in fondo perchè nella dolcezza delle note e dei suoni che si intersecano c’è la bellezza di questo disco. Insomma dopo questo esordio Diego Perrone non è più solo la seconda voce di Caparezza, è anche un bravo compositore. Ricordatelo.
(Alessio Gallorini)