A guardare la copertina di Free Time! quasi ci aspetterebbe di ascoltare una selezione di tracce in stile Buddha Bar et similia, o comunque dei racconti sonori dall’Oriente. E invece, dietro l’immagine di quella stanza che al primo colpo d’occhio sembra aprire uno sguardo sull’harem di un sultano, ci sta un mondo fatto di altri suoni; nessuna correlazione apparente neanche con il nome Pinkunoizu, nato per assonanza con la pronuncia nipponica della locuzione Pink Noise. E, allora, di che stiamo parlando?
Partite dal presupposto che nulla di quello che vi apprestate ad ascoltare sembra avere un filo logico. Questo non significa che si tratta di un lavoro incoerente, tutt’altro: Free Time! è la raccolta di sonorità ed influenze più libera che si possa trovare in circolazione, una sorta di meltin’ pot sonoro costruito su un solido sostrato lo-fi e ispirato al libero vagare di pensieri, ricordi e sensazioni.
Se al livello visivo la velleità inseguita dalla band danese sembra ammiccare a forme e colori tipici della psichedelia dei 13 Floor Elevators o dei cofanetti Nuggets, sotto il profilo melodico ci troviamo davanti alla pura sperimentazione del frontman Andreas Palisgaard, il cui intento è quello di aggirarsi tra luoghi reali o dell’immaginazione come un ripetitore pronto a ricevere i segnali e gli stimoli visivi che il mondo promana, e di lasciarsi attraversare da essi per ritrasmetterli a sua volta in declinazione Pinkunoizu.
Il risultato così vario che ne deriva è espressione di una precisa esigenza della band: quella di uscire dai confini serrati del post-rock di Le Fiasko (di cui Pinkunoizu è uno spin-off), per assaporare la libertà piena di non seguire un genere musicale unico. Il respiro di spensieratezza che ne discende si assapora a pieno già nell’apertura di “Time is Like a Melody”, ballata costruita su una linea di basso che scandisce in levare il trascorrere una manciata di minuti accuratamente calibrata sulla durata media di un buon pezzo pop: una vera e propria dilatazione temporale, che lascia ai quattro il modo di fare immediatamente tabula rasa, e di preparare quello sfondo bianco e pulito che prelude alla rappresentazione di una Instanbul sotto il cielo rutilante del tramonto. La vitalità della città sospesa dal grido del muezzin per la preghiera della sera si unisce ai feedback di “Myriad Pyramid”, primo vero gioiellino dell’album, cesellato tra le visioni della Casa dorata di Samarcanda e beat ripetitivi, estremamente orecchiabili, dal taglio quasi meditativo. Ma il progetto Pinkunoizu che potrebbe -a questo punto- risultare sufficientemente assurdo di per sé, va ben oltre tutto questo, incuneandosi tra una varietà di tematiche e di strutture che spaziano dal nu-folk di “Cyborg Manifesto”, al kraut di “Eveything is Broken or Stolen”, all’espansione di “Death is Not a Lover” (che ricorda, se non altro quanto ad intenti, la “Space Cadet” dei Kyuss).
Si comprende bene, a questo punto, come Free Time! sia la sintesi di un discorso che va ben al di là di un esperimento di libera improvvisazione assumendo, di fatto, le caratteristiche di un progetto assolutamente lontano da qualunque ricerca di consenso, certamente ambizioso, e con una profondità strutturale da non sottovalutare. Unico neo, la scelta di un nome così poco immediato. Una questione che, tuttavia, passa facilmente in secondo piano rispetto alla portata del lavoro che contiene.
(Marianna Sposato)