Nova sui Prati Notturni è un progetto che, in punta di piedi, ha una propria temerarietà quasi epica. Aggrappati alla terra vicentina, cantori di sincretismo culturale popolare e colto, costruttori di trame sonore stratificate che sedimentano senso ascolto dopo ascolto: niente di più démodé ai tempi della fruizione musicale “versione 2.0”.
Imprescindibili pertanto, per approccio ed esito, echi della stagione di Linea gotica e La terra, la guerra, una questione privata dei C.S.I., sia nell’intarsio tra le voci salmodiche di Federica Gonzato e di Gianfranco Trappolin che nelle divagazioni chitarristiche di Massimo Fontana e Giulio Pastorello, nucleo fondante della band. Le dieci tracce del primo album, L’ultimo giorno era ieri, vivono della tensione tra i complementari istinti alla destrutturazione e alla compiutezza: ove la seconda prevalga, mirabili sono la leggerezza solenne e quieta di “Tempo Celeste” e la marzialità di “Percorsi astrali”. È soprattutto nella dilatazione della forma che la band vicentina, a parer di chi scrive, distilla momenti memorabili all’ascoltatore ricettivo: sugli scudi “Nova sui prati notturni”, ipnotico tappeto di chitarre che si stende su notturno canto di grilli e “Malkuth”, solenne e straziante incedere di vocalizzi, da principio concepita come accompagnamento musicale di un lavoro sul mistico ebraico Isaac Luria. Un esordio sì ambizioso è racchiuso, quasi dichiarazione di intenti, da due esperimenti: “Signore delle cime”, lentissima progressione elettrica ad accompagnare un canto popolare del compositore veneto Bepi De Marzi, e “L’orto dei veleni”, poesia di Aldo Palazzeschi interpretata con espressionismo progressive fino a sfumare in una eco di sussurri, litanie e chitarre disturbate degna dei migliori C.S.I.
Ascolto denso ed appagante, coi piedi nel miglior rock italiano sperimentale degli anni ’90 ed il cuore in una notte di campagna vicentina senza tempo.
(Davide Astolfi)