Un disco pensato. Questo è Orsa Maggiore, terza prova dei Pane, seguito a tre anni di distanza del precedente “Tutta la dolcezza ai vermi”. Un disco difficile, perchè difficili sono le sonorità congeniali a questo gruppo romano che, partendo da una base folk rock, sa contaminarla con venature jazz e progressive, senza mai dimenticare la centralità del testo nelle loro produzioni, rifacendosi così in parte anche al teatro-canzone di Gaberiana memoria. Un disco raffinato, come si capisce fin dalla prima traccia, “L’umore”, di cui colpisce la dolcezza che riescono ad esprimere le dinamiche che si sviluppano tra la chitarra classica, suonata in punta di dita, e un pianoforte che abilmente fa da contraltare.
La voce di Claudio Orlandi (anche autore dei testi) squarcia questo soffice velo con la sua teatralità declamando parole che profumano di intimità in modo sobrio eppure efficace. Straordinario il finale del pezzo, vera e propria cavalcata in cui i Pane dimostrano tutta la loro straordinarietà musicale. Assolutamente d’impatto la successiva “Gocce”, pezzo dagli accenti progressive che riesce a far assumere alla musica proprio le sembianze di una pioggia incessante ed angosciante, a cui ben si adatta il testo recitato con enfasi da Orlandi. La title track si riporta su scenari più blueseggianti, in cui spicca lo splendido pianoforte di Maurizio Polsinelli, che sembra quasi mimare con le note le parole del testo, ben supportato dal flauto di Claudio Maudado, che nel finale ritmato la fa da padrone, mentre Claudio Orlandi vede esaltata la sua vocalità da questo straordinario contesto musicale.
La successiva “La pazzia” è un brano che si rifà a un certo tipo di sound anni ’70 (vedi Banco del Mutuo Soccorso) ed è forse il pezzo meglio congeniato dell’intero disco; un testo d’impatto che evoca splendide immagini unito ad un tappeto sonoro complesso ma allo stesso tempo non troppo cervellotico, in cui lasciarsi dolcemente cullare dal timbro intenso e avvolgente di Orlandi.
“Samaria” si accosta a dinamiche folkeggianti, pur mantenendo un altissimo livello dal punto di vista musicale, con il flauto e le chitarre che riescono a creare un’atmosfera perfetta per esaltare ancora una volta il testo, che narra di un percorso accidentato sulla strada della vita,stabilendo un parallelo con la biblica regione montuosa della Giordania citata nel titolo. In “Tutto l’amore del mondo” i Pane si lasciano andare alla loro vena più romantica, costruendo un brano dal respiro quasi lirico, mentre con “Fiore di pesco” si torna a momenti più inquieti, in cui il pianoforte e la voce si fanno quasi sincopati e, per l’appunto, irrequieti, con Claudio Orlandi che sembra quasi gridare con lacrime rabbiose. “Cavallo” è il brano più spiccatamente jazz di questo lavoro dei Pane ed anche quello più sperimentale; si tratta di un vero e proprio reading di stampo majakovskijano tutto da ascoltare (così potrete fare i paragoni col Majakovskij riletto da Capovilla de Il Teatro degli Orrori)
La chiusura è affidata “Alla luna”, una ballata struggente in cui una volta di più si notano le doti di scrittore di Claudio Orlandi, capace davvero di creare dei quadri visivi (e sonori con l’aiuto di tutto il combo) estremamente attraenti e suggestivi.
Con “Orsa Maggiore” , insomma, i Pane si confermano un gruppo di straordinario valore, adatto però solo a palati fini, che sappiano riconoscerne il talento ed abbiano la pazienza di apprezzarne tutte le sfumature.
(Alessio Gallorini)
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“L’umore”