Com’è bella la mia gioventù ha, dal titolo, tutta l’aria di rappresentare un disco manifesto sui giovani d’oggi, sulla società del presente e sui suoi problemi. Semplicemente, sintenticamente, no. La gioventù degli onirica è un viaggio nel tempo, un viaggio nelle gioventù di un passato dai confini spazio temporali sfocati, difficilmente classificabili. La sonorità rock-pop rende orecchiabili tutti i pezzi ma nello stesso tempo stringe ancora l’occhio al post rock tanto caro alla band napoletana, protagonista dei due lavori precedenti.
Non un manifesto, una raccolta di mini poster. “Il grande freddo dell’autunno 2005” dissemina tracce sbagliate su una probabile datazione. Un canto leggero di un amore finito (?) che non può fare a meno di confondersi ed essere confuso dai “quei pazzi lungo quella strada”, dalla società che ha troppa fretta per fermarsi a guardare. Il “vienimi a cercare”, ripetuto in loop nella parte finale, è un invito alla scoperta, un grido d’aiuto e, paradossalmente, un passaggio. Il passaggio alla seconda traccia, “La guerra”, che apre uno dei mini concept che si sviluppano all’interno del disco. Il tempo va ancora indietro, sembra, i giovani sono vestiti in altro modo, hanno gli abiti impolverati delle macerie e della speranza di una vita più leggera. La stessa che racconta “Macchine“, ballata folk, futurista nei temi e cartolina di sogni non ancora svaniti.
“Pupille” è indubbiamente il punto d’intensità più alto del disco: la toccante storia di un abuso sessuale vista dagli occhi del carnefice, lucida, cinica, cruda e arrabbiata. Nello stesso pezzo, l’utilizzo del coro inquadra la maturità artistica della band e la attenzione alla funzionalità del pezzo.
“Giulia GT”, delicato incrocio di arpeggi di chitarra e tasti di pianoforte, apre un altro mondo, “scomodando” la figura di Pasolini al momento della sua morte. “Pied-noir” è lo sguardo di una generazione sulla generazione passata, lo sguardo di un figlio che ricerca le differenza tra la sua gioventù e quella passata mediante la figura del padre, elemento simbolico fortemente presente all’interno del disco che torna ad essere protagonista qualche traccia dopo (“Canzone per papà”). L’ultima traccia chiude il trittico sulla guerra e l’album: “La guerra è finita da vent’anni” è stanca e malinconica e sembra provenire direttamente da lì.
Un lavoro maturo quello degli Onirica che, aldilà del gusto, del bello e del brutto, ha spessore e rappresenta un’ottima prova cantautoriale. La pecca è forse quella di aver insistito tanto su alcuni temi “importanti”, abusandone quasi, andando in contro al paradosso che si rischia in questi casi, quello della forzatura, dell’artificialità. Il merito principale, quello di non aver ricercato la scontatezza, la banalità e l’inflazionato e di aver presentato un primo disco di qualità indubbia. Dalla provincia, il salto è lungo e difficile. Con questo disco, forse, lo è un po’ meno.
(Giampiero Troianiello)