Questo album è una meraviglia che ci regala “Dicembre” (il singolo) e che dicembre (il mese) ci regala, quindi prendiamolo al volo, e finiamola di fare finta di nulla o di essere qualcosa.
Perchè la parola d’ordine dei Mircanto e di Esercizi di statica è essenzialità. È consapevolezza. Ascoltare questo album è come stare in equilibrio tra quel che vorremmo e quel che siamo, ed è davvero un esercizio di statica, perchè si sta in piedi a malapena ascoltando e riascoltando sotto Natale un pezzo come “Dicembre”: “denti d’oro appesi ai miei rami e preservativi, così brilla di tutti i nostri scarti l’albero della fame”. Un disguido, un senso di colpa che non rincasa: bisogna sdraiarsi da qualche parte a sentire oltre che ascoltare, e lasciarsi trasportare da quegli splendidi accordi di chitarra, da una voce che ammorbidisce la coscienza mentre afferra le viscere. La semplicità è una conquista, non un rifuggire il pensiero: ecco i Mircanto, ovvero Daniele Nava e Thomas Foiadelli con Nicola Agazzi, che con una “musica piccola, spiaggiata con coscienza urbana sul borgo incravattato di Bergamo” ci fanno grande l’anno che chiude.
Scarni per vocazione, ma non si parli di cantautorato, perchè qui si va oltre: stavolta è un progetto musicale che ha un respiro diverso dalle Luci e dalle Sas, e non lo si può confinare in troppe cose già viste e conosciute. I Mircanto si distaccano dal cosiddetto ‘nuovo cantautorato’ proprio per la loro essenzialità autentica. Qui non c’è ostentazione, e la ricercatezza dei suoni è appunto quella semplicità che si conquista, anche con fatica; e i testi, proprio perchè non sono immediati, riescono a penetrare più in fondo ad ogni ascolto. Il colore di questo album è grigio nord, e già con la prima traccia “Statali stese” ci si trova spiaggiati su certe padane miserie, che poi sono quelle di tutti (“tutti di passaggio, la città è un ostaggio”), e che ci fanno ostaggi di un nebuloso potere. È un album che parla di giorni di lavoro, di guerre viste col telecomando, di quotidianità e di amore (“canta piano che non senti il caffè salire, piangi piano, che ritrovi un amore la sera”, in “Esercizi di statica”). D’amore ce n’è, quello che trova la forza di andare oltre le apparenze. La musica, l’uso delle tastiere in punta di dita, i cori sommessi: eccetto alcuni lievi accenti di folk (come nella strumentale “Mircanto”), l’album “Esercizi di statica” riporta, scaldandole al Mediterraneo, a certe estreme essenzialità nordiche alla Arvo Part o alla Sidsel Endresen, e talvolta ci si potrebbe innestare all’improvviso la voce di Bjork, per intendersi. Insomma, è un disco di rock duemilaundici, che non si grida e soffia forte. Emerge, si ingrandisce nel tempo, e non lo si abbandona.
(David Drago)