Se non avete mai ascoltato prima i Morkobot, state bene attenti. Rischiate di ritrovarvi d’un tratto in un’altra galassia dove le leggi dell’acustica sono manipolate fino all’estremo, o di sentirvi la testa piacevolmente shekerata da una centrifuga in viaggio verso la Luna, o ancora di provare tutte le sensazioni che può dare masticare un magico funghetto messicano (senza averne messo in bocca neanche uno) mentre qualcuno vi fa un vigoroso shampoo al cervello. Ripeto, state attenti.
Questi non sono che una piccola parte degli effetti che provoca l’ascolto di Morbo, la terza fatica dei tre Morkobot (Lin, Lan e Len – due bassi, una batteria e una marea di diavolerie) che, come troverete spiegato molto bene sul loro sito (in basso), non sono propriamente degli esseri umani; piuttosto, essi sono una triadica emanazione dell’extragalattico e incorporeo Morkobot, e si presentano come messaggeri del suo verbo sottoforma di musica. Una musica che ti teleguida in un universo di distorsioni, contrazioni, sistole/diastole, esplosioni, esplorazioni: sembra davvero di ascoltare la radiazione di fondo dell’universo remixata dai Morkobot solo per le orecchie limitate di noi limitati esseri umani. E non si può evitare di essere risucchiati dagli intrecci geometrici di due, ripeto due, linee di basso in una discesa libera nella psichedelia, nell’heavy (metal?), nel progressive, nel chaos, nel ritmo. I sette brani di cui si compone Morbo (ogni titolo, una costola o un rimescolamento della parola ‘Morkobot’) sono inseparabili, è impossibile parlarne seriamente dividendoli l’uno dall’altro.
Essi sono un unico animale che respira, un’unica lunga equazione: non si può entrare nell’immaginario musicale del trio se non da “Ultramorth” (che farà gridare di godimento i fan degli Zeus!, come ad esempio… me), né uscire senza passare per la sincope ordinata di “Obrom”, per ritornare al mondo (un po’ cambiati). Oltre al carattere shockante, che di sicuro non sfuggirà ad alcuno che osi avventurarsi in questa spirale sonora, c’è da dire che le canzoni dei Morkobot sono anche belle. Vertiginose, ricche, mai impaurite da un qualche limite, contaminate da millemila suggestioni e a loro volta in grado di crearne a milioni. Per certi tratti, mi ricordano anche la per me più che positiva sovrabbondanza degli Emerson Lake & Palmer, trasfigurati però da una foga creativa potente e innovativa, un drumming plumbeo e schematizzante che serve a mettere ordine, e una marea di effetti e pedali spinti fino al massimo. Belli belli belli.
Vi scuoteranno i pensieri e gli arti come se foste una marionetta, vi faranno atterrare in giungle di suoni mai pensati prima, vi coccoleranno a suon di schiaffi e vi faranno adorare tutto ciò. Ma state attenti (e tre), rischiate di non voler smettere mai. E diventare anche voi schiavi del MoRkObOt…
(Giulia Delprato)