I fan dell’heavy metal sono famosi per essere granitici quanto la musica che ascoltano; il cambiamento fa accapponare loro la pelle e i lemmi “commerciale” e “mainstream” sono spesso sinonimi di “venduto”; inoltre sono particolarmente devoti al genere e qualsiasi commistione o strizzatina d’occhio verso suoni più blandi provoca in essi piorrea e dermatite. Tutto ciò per dire che The Hunter potrebbe non avere vita facile presso i fan della prima ora dei Mastodon, i quali vorrebbero probabilmente una riproposizione incessante di “Blood and Thunder” o “Mother Puncher”. Già in rete non è raro leggere commenti nostalgici di quando i quattro di Atlanta infiammavano piccoli club e il loro nome rimandava senz’ombra di dubbio all’ambito sludge metal nell’Olimpo dei Neurosis, degli Isis e dei Grandi Padri Melvins. Non parliamo poi del passaggio da Relapse a Warner Bros., delle apparizioni ai grandi festival, le ospitate al Letterman Show; spesso, agli occhi altrui, la macchia sulla purezza di una band si allarga di pari passo con l’espandersi delle platee.
Lungi dal voler intraprendere un processo ai gusti personali, mi limiterò a dolermi per coloro i quali derubricheranno questo album a passo falso di una band una volta geniale. I Mastodon erano, sono e rimangono, il miglior gruppo metal in circolazione. Leviathan, Blood Mountain e Crack the Skye sono stati tre album fulminanti, tre concept ricchi di elementi metal e progressive classici ibridati con lo sludge e il trash più intransigente, di una complessità compositiva tale da far esclamare al batterista Brann Dailor che le canzoni dei Mastodon sono “a bitch to play live”.
The Hunter è anch’esso un ottimo album ma segna una discontinuità. Tanto per intenderci: “Thickening” è stoner come farebbero i Queens of the Stone Age sospesi sulle fiamme dell’inferno. Le canzoni sono brevi, quasi degli haiku in confronto alle durate cui eravamo stati abituati, e meno complesse: scomparsi i ripetuti cambi di tempo, ci troviamo di fronte alla classica struttura strofa-ritornello-strofa. Il growl – gli urlacci! – non c’è più: le voci sono quasi sempre pulite.
I Mastodon insomma si rifanno il vestito, e che vestito, con The Hunter. Certo, la scelta di suonare un metal più classico, basato su riff in linea di discendenza da Black Sabbath e Led Zeppelin, è un chiaro ammiccamento al mainstream; ma se Scott Kelly – presente in “Spectrelight” – continua a concedere la sua benedizione, chi siamo noi per criticare? Tanto più che deve ancora nascere il gruppo heavy metal in grado di unire Led Zeppelin e post-rock come i Mastodon fanno in “Bedazzled Fingernails” o “Octupus Has No Friends”, spruzzare Pink Floyd qua e là e suonare ballate southern come “The Hunter” e “The Sparrow” senza avere voglia di spedirlo a raccogliere cotone.
The Hunter non è un occhio pesto bensì un fiore all’occhiello all’ambizione dei Mastodon, che si confermano i fautori dell’hardrock più appassionante e sincero di questo primo scorcio di millennio.
(Francesco Morstabilini)