Incontriamo Marco Notari alla prima delle Indi(e)avolato Nights, in uno dei club più belli tra i templi della musica indie italiana: e per il Diavolo Rosso di Asti la parola tempio si addice più che mai, visto che è ricavato in una chiesa sconsacrata. Notari vive proprio ad Asti: nessun posto migliore, dunque, per una chiacchierata con l’artista che ha sfornato, possiamo già dirlo, uno degli album più belli del 2011, Io?, uscito lo scorso settembre per Libellula Music (Qui la recensione). È il suo terzo album, dopo l’esordio del 2006 Oltre lo specchio (Artes Mescal/Emi) e il concept album Babele (Artes/Emi) del 2008. Per l’uscita del terzo album, Notari ha regalato ai suoi fan un ep con le versioni acustiche di alcuni pezzi più uno splendido inedito, “Thesiger”, dedicato all’esploratore e scrittore britannico scomparso nel 2003: per averlo in free download, basta iscriversi alla newsletter dell’artista dal sito. Il musicista piemontese ha appena concluso una serie di showcases nelle Fnac e parte con il tour vero e proprio il 22 ottobre dallo Spazio 211 di Torino (trovi tutte le date in Agenda Concerti).
Il titolo del tuo nuovo album è Io con il punto interrogativo. Perchè?
Per mettere in difficoltà gli speaker delle radio che non sanno mai con quale tono pronunciarlo! Scherzi a parte, è un disco molto personale: la maggior parte delle canzoni parlano esplicitamente di me, delle persone che mi stanno intorno e a cui voglio bene, del mondo che mi circonda. Il punto interrogativo rappresenta la ricerca di se stessi che è continua, non finisce mai, tranne forse per i santoni yogi. In realtà penso che nel disco, anche se si intitola “Io?” , la ricerca sia più che altro quella di allontanarsi dal proprio ego: prendere consapevolezza di se stessi vuol dire rendersi conto di quanto il proprio ego sia una manifestazione più del mondo in cui si vive che di noi stessi, un po’ come “I me mind” di George Harrison, l’idea è un po’ quella.
“Le stelle ci cambieranno pelle”, è cantato con Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, e in “L’invasione degli ultracopri” c’è la voce di Dario Brunori. Perchè li hai scelti?
Sono due artisti che stimo molto e due cari amici. Hanno dato un grande apporto ai brani a cui hanno partecipato. Nel caso di Tommaso poi l’apporto è stato ancora maggiore perché si è occupato anche della copertina e delle illustrazioni del disco. L’idea è quella di realizzarne delle serigrafie, visto che si tratta di un lavoro eccezionale e realizzato completamente a mano. Le vorremmo presentare parallelamente ad una serie di concerti in luoghi adatti a coniugare esposizione ed esibizione.
Il disco è stato presentato in anteprima a settembre al Popkomm di Berlino. Com’è andata?
Molto bene. È la prima volta che suonavamo all’estero, è stato un bel concerto davvero e ho notato che in Germania sono molto curiosi e attenti anche nei confronti di realtà che non conoscono, anche rispetto a un artista come me che canta in italiano, che non è una lingua né diffusa musicalmente come l’inglese né certamente familiare per i tedeschi.
In Italia non c’è secondo te questa stessa curiosità nei confronti della musica indipendente?
Premesso che in Germania ho avuto un’unica esperienza, di sicuro ho visto che l’approccio del pubblico è un po’ diverso che in Italia. Il discorso è complesso, e parte dai fondi stanziati per la cultura, dallo spazio che in altri paesi trovano, sia in tv che nelle radio più commerciali, determinati progetti musicali. Ricordo che quando ho visto su Arte, il canale tv franco-tedesco, un live acustico dei Radiohead in prima serata, mi sono chiesto se avrei mai potuto vederlo su Rai2 o Rete4. Promuovere progetti musicali indipendenti in Italia è molto difficile perchè c’è molta disattenzione, tutto si sta incanalando verso pochi canali mainstream televisivi. Poi c’è anche il fatto che la gente oggi ha meno soldi di una volta, meno risorse da dedicare agli svaghi, e la generazione dei diciottenni di adesso segue di meno la musica live rispetto alla mia generazione, quella dei trentenni. Forse preferiscono altri tipi di divertimento, vivono la musica più su internet e sull’i -pod che ai concerti.
La musica del tuo album è stata definita né prettamente pop né rock né elettronica, e questa è una bella cosa perchè più stiamo fuori dalle etichette e meglio è. Ma volevo parlare dei testi, che affrontano temi importanti e non fanno sconti all’umanità. É stata dura, scriverli?
Al contrario. É stato bello e liberatorio fare questo disco, ho cercato di togliere tutte le difese e rimanere nudo mentre scrivevo le canzoni. Sono piccoli racconti di esseri umani, veri e immaginari, e affrontano temi importanti, ma senza presunzione, dal punto di vista delle persone comuni, come lo sono io. Nel disco descrivo la bruttezza dell’umanità, come in “La terra senza l’uomo” che parla dello sfruttamento indiscriminato delle risorse e della mancanza di rispetto dell’uomo per le altre forme di vita, o in “L’invasione degli ultracorpi”, i cui protagonisti Davide e Mohammed, due ragazzi che vivono rispettivamente a Torino e Bagdad, mi hanno dato lo spunto per parlare delle presunte guerre di religione di questi ultimi anni. Ma ci sono anche brani in cui racconto la bellezza dell’umanità, come in “Dina”, atto d’amore verso una donna che ha vissuto una guerra, o “Apollo 11”, pezzo che parla dell’allunaggio e di quanto talvolta l’uomo sappia essere pioniere, romantico, buono, e bello da vedere.
(David Drago)
Foto: Lorenzo Serra
Foto Live: Jessica Bartolini