Popkomm 2011, ovvero la più grande fiera tedesca di musica alternativa. Non si sa bene perché, forse perché il destino o forse perché gli è sfuggita la mano sulla tastiera, il gruppo delegato dall’etichetta discografica italiana SFEM – The Lads Production ha deciso di invitare me a documentare l’intera trasferta berlinese. Tra corse in mezzo agli stands del dismesso aeroporto di Tempelhof, litri e litri di Jägermeister, qualche chilo di biglietti da visita, molte lezioni di vita e centinaia di fotografie, torno a Roma con tante cose da raccontare, tanta musica da ascoltare e da riascoltare, e un favoloso tedesco da Sturmtruppen. Ecco a voi uno scorcio, un diario, un dietro & davanti le quinte di due intensissime giornate.
07/09 – …morning morning…
Il primo giorno di Popkomm con quelli di SFEM – The Lads Production comincia assonnato in una camerata da otto persone. Ossia un posto dove non puoi evitare di condividere qualsiasi cosa, dal bagnoschiuma alla sveglia alle sette, nonché cominciare a conoscere i tuoi compagni di viaggio.
Oltre al gruppo dei nokeys (se non li conoscete, vi rimando con una tirata d’orecchi QUI), ossia Bonzo, Luv, Gatto & Rico (che, per dovere di cronaca, ci raggiunge solo a orario pasti, ma non importa!), c’è la Sara, che sotto il suo dolce sorriso nasconde un oscuro e deciso lato manageriale, c’è Anto, della BlackPois Promotions, cui non smetterò mai di costruire altarini per essere stata quella che mi ha contattato, c’è Giò, il sound engineer in grado di mantenere concretamente la baracca in piedi, e c’è Angie, di AnnoZero Live, una donna che dire che ha gli attributi è un eufemismo. Probabilmente si capisce dalla quantità di roba che ingurgitiamo a colazione, che non sarà una giornata semplice. Bisogna carburare senza caffè, orientarsi, fare il piano d’azione e chi più ne ha più ne metta…
Arriviamo di buon’ora all’ex-aeroporto di Tempelhof, che affaccia su Kreuzberg in Platz der Luftbrücke (ribattezzata d’ora in poi come Platz die Frau Blücher, come insegna mr. Mel Brooks), location designata per la fiera musicale. Sotto il cielo grigio, l’aeroporto ancora assonnato e deserto è bellissimo. Soltanto i più mattinieri sostano davanti alla porta, sigaretta in mano, parlottando sommessamente, come se non si dovesse disturbare il silenzio. Esattamente davanti a quei portoni, il gruppo si ricongiunge e si aggiungono anche Ema (delegato SFEM di stanza a Berlino) e Roberta, una promoter freelance che da Roma vive, lavora e fa le boccacce a Londra.
Dopo le formalità al banco di accettazione, ci tuffiamo negli impegni della giornata: mentre Luv e Rico, impavidi, presenziano alla conferenza di benvenuto del Popkomm, rigorosamente in tedesco, Sara e Bonzo organizzano lo stand della SFEM, Gatto e Ema incominciano a girare per i banchi delle altre nazioni presenti, io accompagno Antonella a vedere un po’ in cosa consiste la parte “business to business” dell’evento. Il Popkomm, che si snoda per tutto l’interno della struttura, si compone sostanzialmente di tre momenti separati: quello degli speed meeting e quello degli showcases, ossia quando le band suonano per davvero in venues sparse per tutta la città, e incontrano il pubblico.
SFEM – The Lads Production, quest’anno, dopo l’ottima esibizione all’interno dello stesso contesto dei nokeys nel 2010, ha organizzato per l’8 settembre lo showcase di cinque delle proprie bands presso il Silverwings, storico locale di Berlino dove ha suonato, per dire, anche il signor Johnny Cash.
Si tratta di un’occasione pressoché unica di portare all’estero quell’aspetto più creativo, più europeo e più indipendente della musica italiana, e renderlo disponibile subito, per l’ascolto diretto, con la sola barriera del gradino del palco. E si tratta anche di un’operazione che ha le sue necessità; mi ritrovo, infatti, a parlare con due ragazzi svedesi che mi chiedono espressamente che razza di musica si faccia in Italia. Quando te lo senti domandare con tanto candore, ti rendi conto che probabilmente, al di là della nomea di una certa scena commerciale (dal neomelodico napoletano alla Bunga Bunga dance, per dire), fuori dei confini nazionali non arriva neanche l’eco di tutto ciò che di buono si sta facendo qui. Il che è un peccato.
Verso le sei di pomeriggio, la prima giornata alla fiera si conclude e tutti quanti ci concediamo un meritato riposo. La cena è il momento giusto per conoscere gli svedesi Black Friday STHLM, quattro simpatici ragazzi apparecchiati in stile Interpol, con un frontman, Janne, che non appena si toglie gli occhiali diventa il sosia di Dave Gahan. Non male. Il tutto annaffiato dal nostro amaro preferito (Jäger!), vogliate perdonarci! A letto presto alle tre, che domani è il giorno fatidico.
08/09 – …rotolare in salita controvento!
L’otto settembre duemilaundici sta stampato nella mia testa, sui manifesti che Sara ha nella borsa, sui flyers che abbiamo assemblato il giorno precedente, sul programma del Popkomm, sulla porta del Silverwings e anche in mezzo ai nostri discorsi: from 5 till 9 pm, 3 hours of live music from Italy, recita lo slogan della giornata. Oltre a mettere in carica la batteria della macchina fotografica (compito mio) e a sistemare tutto l’ambaradam tecnico (ci pensano Giò e i nokeys), oggi c’è da fare i bravi pubblicitari e girarsi Tempelhof in lungo e in largo, a informare anche i muri (e con molta convinzione!).
La mattina trascorre in fretta, arriva il momento di spostarsi nell’intima saletta del Silverwings. Diciamo
che dire “intima” è un eufemismo: il locale è veramente piccolo e buio e si riempie di gente in un batter d’occhio. Eugene, poliedrico strumentista electro-pop da Roma, assieme alla sua affiatata band, è colui che apre le danze con la sua musica sognante e sospesa, un vero viaggio mentale in una dimensione a parte, in cui si fondono echi dei primi Depeche Mode, degli Ultravox, dei Kraftwerk e anche dei Pink Floyd, con un cantato particolare, assimilabile per alcuni tratti a quello dell’inglese Imogen Heap. Non solo il lato musicale, curatissimo e originale, rapisce chi ascolta e lo estrania dall’oscurità del locale per portarlo sull’altra faccia della Luna, ma anche l’energia dei performers è contagiosa, Eugene è un folletto, un istrione che non sta un istante fermo, quasi fossero le sue mani e i suoi movimenti a disegnare l’atmosfera nella piovosa serata Berlinese. Eugene, al secolo Eugenio Valente, ci tiene per mano e ci conduce, ormai mesmerizzati, attraverso una manciata di brani fino alla conclusione del proprio set, portando a casa la soddisfazione di aver orchestrato un’apertura veramente spettacolare e aver condotto entro le porte del Silverwings parecchi curiosi, magari stupiti dal fatto che proprio dalla vecchia mamma Roma possa arrivare un sound così fresco ed europeo.
E proprio sul filone “europeo” si prosegue, quando dopo un breve cambio palco, fanno la loro comparsa i Black Friday STHLM, il giovane gruppo new-wave con cui siamo andati a cena la sera precedente. I quattro ragazzi sono tirati a lucido, giacca cravatta e faccini puliti, e si vede che sono tutti piuttosto emozionati, escluso forse Janne, il frontman, che sembra l’unico a tenere in mano con sicurezza le redini del palco. Sia chiaro, la loro non è l’insicurezza adolescenziale davanti al pubblico del liceo, ma più che altro la consapevolezza di trovarsi in un posto importante e di dover dimostrare di che pasta sono fatti. Il loro show è essenziale e concentrato sulla musica, un sincopato incedere di incastri oscuri fra basso, due chitarre e voce, con un tappeto di batteria elettronica a fare da sfondo, e un sentore come di velluto che accarezzi le orecchie. Ciò che forse sarebbe da migliorare è la presenza scenica dei tre musicisti: se da un lato Janne dispensa charme e sentimento a piene mani, intrecciandosi letteralmente nel cavo del microfono, sposandosi con la propria voce, gli altri rimangono in linea, fermi e un po’ statici, un po’ troppo “concentrati” su ciò che sta uscendo dalle proprie mani. Certo questo si traduce in un set impeccabile e preciso, ma gli fa perdere incisività a livello visivo e impatto sul pubblico, che deve fra virgolette accontentarsi della musica e accantonare l’aspetto visuale. In ogni caso, visto che questi sono i primi passi dei Black Friday STHLM al di fuori dei confini svedesi, la loro prova è positiva e fa ben sperare in una crescita futura.
Subito dopo i Black Friday, è il momento clou, è il momento che molti al Silverwings stavano aspettando e che anche io, lo confesso, non vedevo l’ora arrivasse: i nokeys presenteranno sul palco tre brani dell’album di prossima uscita, Cold War, in esclusiva europea. Fin da quando li ho conosciuti, ossia ascoltati, ho pensato che la loro musica fosse disegnati con gli stessi colori e contrasti delle foto di Anton Corbjin: dove anche le ombre parlano, e quando il bianco spicca con violenza dall’oscurità è pregno di simboli, cifre, messaggi. I nokeys salgono sul palco dipinti in viso come dei selvaggi guerriglieri della dark-wave, circondati dal silenzio trepidante e dall’attenzione del pubblico, in cui si mescolano le facce degli addetti ai lavori del Popkomm con quelle di amici, fans, e casuali comparse. Rico, alla voce, ha gli occhi bendati quando, incominciando a muovere le proprie mani, si fonde con i martellanti, suadenti suoni iniziali del brano “Envy”, che sarà il primo singolo estratto da Cold War. Nonostante qualche iniziale problema tecnico, la musica si impossessa senza freni del Silverwings, e il connubio fra i gesti e la voce oltremondana di Rico, i fendenti di Gatto e del suo basso sempre in bilico fra palco e pubblico, la precisione e il calore di Luv che si alterna fra la Gretsch e le tastiere e le stoccate di Bonzo, quasi il regista dietro le quinte di tutta l’operazione, si trasformano in un’unica onda sonora. Mi guardo intorno, e mi rendo conto di non essere la sola incollata al suolo. I nokeys suoneranno soltanto tre canzoni, e tutti fra il pubblico sembrano consapevoli di dover approfittare dell’occasione; la partecipazione, l’ascolto, non sono esagitati, ma concentrati, chirurgici, attenti… è palpabile l’aspettativa per un gruppo che si è saputo costruire una solida reputazione anche all’estero, e la cui qualità nei live è indiscussa. Impeccabili nokeys, aber zu klein! (ma troppo poco!)
Passano sì e no dieci minuti ed è tempo di misurarsi con un’altra bomba: i lombardi The Sinatra’s, al loro primo disco. Si tratta di quattro ragazzoni in perfetta tenuta da mafioso anni ’30, con giacca, camicia, bretelle e scarpe di vernice, che… non appena mettono piede sul palco scatenano un pandemonio. Letteralmente. Okay, mi avevano avvertito: sono forti, e loro no, non suonano new-wave, ma non mi aspettavo mica che celassero un’anima di metallo sotto il loro nome così vintage! Invece la sorpresa è che l’hardcore si è fuso coi Black Sabbath e Mastodon e Black Label Society ci hanno messo del loro, e i Sinatra’s suonano (a parer loro, ma non saprei trovare definizione migliore, se non “una gran baràca”) Southern Grunge Delicato. Delicato perché ogni tanto tirano un respiro, ma sono solo pochi attimi e il loro show è una vera polveriera. O meglio, un carrarmato hard rock alla cui testa sta Nik, il cantante: dalle sue viscere, probabilmente tatuate tanto quanto le sue braccia, ti arriva dritto un cantato tirato e a tratti gridato, sostenuto dai granitici Ritchie e Johnny (così i loro pseudonimi), rispettivamente a basso e batteria, e conteso in un ottimo gioco di rimandi dalla chitarra del Nebu, o Nelson Picone come preferisce farsi chiamare. Il loro set (una decina di canzoni) è davvero tiratissimo e l’adrenalina è come una deliziosa sberla in faccia, non si può fare a meno di essere coinvolti ed è con vero piacere che noto che il pubblico dello showcase non esita ad agitarsi e partecipare.
Si è fatto più tardi, il Silverwings in parte si è svuotato, ma io ho pronte da parte le energie per ascoltare e godere dei Panic Room, band parmigiana già salita agli onori delle cronache con il cinematografico nome di Redrum. I cinque (Fra alla voce, Rocco e Marco alla chitarra, Pilo al basso e Taglio alla batteria) propongono brani tratti dal cd Equilibrium, appena rieditato per il catalogo SFEM, che coniugano l’alternative rock al nu-metal in un’armonia davvero convincente. Purtroppo, a inficiare lo show intervengono non pochi problemi tecnici con il microfono di Fra, ma devo dire che la qualità del progetto si sente tutta nonostante gli ostacoli, e i Panic Room infiammano il club e sono uno dei gruppi ad essere più apprezzati dai temibili tizi della security del locale, dei tedesconi metallari dall’aspetto poco rassicurante (immagino che i Panic saranno davvero felici di leggere tutto ciò!). La musica del gruppo di Parma cattura fra le chiusure e le aperture delle chitarre, con la voce di Fra che finalmente riesce a svettare e a ricamare l’immaginario della band; probabilmente i Panic sono un gruppo per posti un po’ più grandi, dove è possibile saltare e muoversi con più tranquillità, mentre al Silverwings i ragazzi sono costretti sul piccolo palco, e perdono un pochino in presenza on stage. Ciò non toglie, comunque, che c’è da ascoltare qualcosa di originale e non convenzionale per il panorama italiano, e il pubblico tedesco lo capisce molto bene.
Con un ultimo intreccio tra melodia e metallo, i Panic (anche loro in procinto di partire per un tour di cinque tappe in giro per la Francia) lasciano il palco e affidano la chiusura ai ragazzi di SFEM, ai miei compagni di stanza per capirci, che dispensano i dovuti ringraziamenti a chi ha reso possibili le tre ore di musica di cui questo diario è uno sbiadito accenno… e c’è da ringraziare davvero perché il duro lavoro è stato ripagato e chi esce dal Silverwings non solo ha avuto la possibilità di ascoltare delle band italiane diverse da quello stereotipo sul nostro paese, ma ha fatto il pieno di una musica suonata con passione, con sudore, e chi ha altri banali aggettivi per definire un tale ottimo concerto li metta pure qui, perché non basteranno.
Sipario.
Ce ne andiamo alla spicciolata, strumenti roba proiettori dischi spillette valigie alla mano, senza mancare di passare per Platz die Frau Blücher.
Sipario, sipario.
Alla prossima.
Testi e foto : Giulia Delprato