Lo so, di quanto sto per dire potrei pentirmene tra pochi anni. Ma so anche che non sono abbastanza importante perché qualcuno possa venire a rinfacciarmelo, quindi faccio un respiro e lo azzardo. Io degli Zen Circus mi fido. Anche se parliamo di musica, anzi di musica indipendente. Dove quelli che fino a un mese prima erano i baluardi dell’integrità artistica e morale, sono sempre i primi a finire sul banco degli imputati. Anche se i venduti sono all’ordine del giorno e la maggior parte nuota sul fondo finché gli fa comodo, pronto a tornare a galla nella corrente principale appena il profumo dei soldi gli arriva alle narici.
Io degli Zen Circus mi fido. E mi fido anche se hanno pulito i suoni. Anche se sono sempre più folk-rock e sempre meno folk-punk. Se i Violent Femmes si stanno allontanando e i Litfiba (quelli fighi eh..) sono invece dietro l’angolo (“L’amorale”). Anche se non riescono proprio a non cadere, più di una volta, in un (simpatico) populismo alternativo (“Milanesi al mare”, “Atto secondo”). Un innocente qualunquismo. Perché scrivono di pancia, anche se partono dalla testa. Zero intellettualismi, tanta sincera ironia. E mi fido degli Zen Circus anche se a volte si rifugiano nel ritornello-manifesto, nell’inno generazionale (“I qualunquisti”, peraltro uno dei miei pezzi preferiti). Perché sono i primi a saperlo e i primi ad ammetterlo. Perché fanno i cazzoni, ma poi sono tra i più intelligenti e sottili osservatori dello squallore che ci circonda. Capaci di passare così da un pezzo come la già citata “Milanesi al mare” a un’acutissima “Il mattino ha l’oro in bocca”. E mi fido anche se Appino e soci rischiano di fare il botto, perché sanno dosare perfettamente melodie di presa più che immediata a testi che si fanno urlare ai concerti. E la goduria è innegabile. Mi fido perché gli Zen vengono dalla strada, davvero però. E quando dicono che sono nati per subire, riesci a credergli. Mi fido perché Ufo indossa sempre più spesso una t-shirt con la scritta “I believe in Ramones”. E sai che è vero. Mi fido anche se forse questo Nati per subire non riesce ad essere all’altezza del predecessore ma, nonostante ciò, risulterà una delle migliori produzioni italiane dell’anno. Perché Appino è una delle voci e delle penne più originali e interessanti in circolazione e gli Zen sono un punto di riferimento irremovibile per chiunque voglia fare musica indipendente in Italia. E chi se ne frega se magari in futuro mi pentirò. Di qualcuno ci si deve pur fidare.
(Federico Anelli)