Nero su nero, grigio su grigio e nuove sotto tonalità del crepuscolo; una breve e leggera brezza che da una variazione tematica alla band americana dei fratelli Carney, i Pontiak che, se con Living la loro storia poteva definitivamente darsi un contegno di prestanza, invece viene tutto rimesso in discussione con l’uscita di questo Comecrudos, quattro tracce e un pò meno di una mezz’oretta d’ascolto, scritte lungo la Ruote 385 bagnata dal Rio Grande e date in pasto al pubblico dentro una numerazione di 1000 copie.
E un delirio maestoso in quattro parti che si allontanano drasticamente dalle pedaliere e gli overdrive “hard” con i quali la band ci ha bombardato fino a ieri ed è come una visione sdoppiata dalla metedrina calda che scorre nelle vene psichedeliche di un trip nel southern Usa tra saguari e pepite d’oro introvabili; scriveremo poche righe per un disco cortissimo, ma che fa viaggiare stando fermi, roteare come un’acceleratore interno dell’anima. Si parte con una tromba che sibila astrale a rasente di suggestioni tibetane (“Part 1”) per planare nelle sabbie desertiche di un gioco di corde acustiche a fianco di un’organetto timido e dolce (“Part 2”), finire sulle tonalità di un basso deciso e di una chitarra elettrica dalle funzioni Floydyane con tanto di barrito di trombe alle spalle (“Part 3”) e perdere le cognizioni mentali nel tuffo a capofitto nella traccia “Part 4”, regno placentare di Hammond tremolante con Leslie e piena estate “alcaloide” sixsteen che riporta le declinazioni evanescenti e dolcemente drogate delle sperimentazioni rock/mistiche dei Pink Floyd stessi.
Stoner e psichedelia sono parenti stretti, i Pontiak sono il bridge sospeso sopra quello che erano e quello che vogliono essere, e all’interno di quest’Ep costituiscono il nesso tra elegie soniche e costruzioni tridimensionali, e tra crescendi e cadute di forte impatto erigono una quaterna che suona come il più dolce dei tormenti.
(Max Sannella)