Sarà il disastroso momento politico? La totale assenza di solide e sane aspettative per la generazione under 30? Il gusto di annegare nella promettente tendenza modaiola tutta autoreferenziale del “Sono un cantautore!”? L’evoluzione del 2.0, dei topi digitali e la visibilità possibile nell’universo degli UGC? Nessun giudizio, né lode, né demerito a riguardo, ma il panorama del cantautorato italiano pare vivere un tempo decisamente prospero, creando nuove enormi costellazioni di artisti in grado di raccontare e raccontarsi con gusto e notevoli capacità creative.
Certo, viene da chiedersi se i nostri figli avranno i loro “mitici” De Andrè, Guccini e De Gregori, ma vale certamente la pena fare una piroetta a 360° per rin-tracciare e ascoltare tutto ciò che negli ultimi anni è riuscito a emergere dai fondi privati delle stanzette tappezzate di locandine sbiadite dei concerti che “c’era poca gente, ma spaccava”.
Il torinese Matteo Castellano, all’esordio con il suo primo album ufficiale Ezio, rientra assolutamente nella categoria degli astri nascenti italiani e ci sputa addosso tutta la sua ironia, tessuta con equilibrio insieme a massicce dosi di ambigua genialità. A tratti lucido e impietoso cantastorie, a tratti amaro caratterista della realtà, il personaggio Matteo Castellano è un indie-nerd, capace di farsi trasparente e illuminante nello svolgersi dei circa 40 minuti di Ezio. “Per morire con più stile”, cult dell’intero album ed eco remota di un nichilismo decadente, è la storia dei tentati suicidi da cliché di un teenager che, a forza di rimandare in favore di una morte più dignitosa, si ritrova a novant’anni a scegliere di morire di vecchiaia abbracciato al suo bastone. Passando per la graffiante accusa monocromo ai valori stereotipati della cara vecchia borghesia di “Grigio”, Castellano decide di metterci di fronte a un altro dei temi chiave che altera il naturale scorrere degli eventi della natura umana con l’omelia sofferta e feroce Se dipingessi Cristo, altro piccolo capolavoro dell’album. Per spezzare la corda tesa, Ezio si fa cantilena dai ritmi popolar-hawaiani in “L’acqua spacca i ponti”, ma il messaggio è più teso e meno delicato di quello che potrebbe suonare: ”Ma l’acqua spacca i ponti e tu inizi a capire quanto tempo sprecato e non vuoi più dormire, vorresti gridare però è l’una di notte e un vicino ti spacca di botte”. La spirale paranoica di “Non lo so”, in cui l’insofferenza e l’incapacità di rispondere alle domande quotidiane, che conoscono solo le risposte che vogliono sentire e diventano metro di misura di normalità e integrazione (una ripresa del tema nichilista?), ci lascia affrontare gli ultimi brani, tra i quali “Boccuccia” ha la meglio, nonostante faccia quasi ad un intermezzo. Per concludere Matteo Castellano ci lascia con una storia, “La telefonata”, dai tratti marcatamente folkeggianti e molto probabilmente autobiografica, che fa le veci di compendio del suo primo album.
Ezio è un album affascinante e forse l’unico rimprovero che gli si può attribuire è quello di scorrere troppo velocemente e, in alcuni rari casi, di sembrare suonato in sordina, ma Castellano ha molta strada davanti a sé e personalmente sono impaziente di assistere a un live di un artista capace di non lasciarsi trascinare dalle leggerezze.
(Simona Cannì)