I La Blanche Alchimie perpetuano un binomio che traina il lento vortice luminoso delle galassie e la profusione di energia è paragonabile al suono di fondo che ci lasciò in eredità il big bang. Il rumore continua ad espandersi ed a riempire spazi finora rimasti vuoti.
A rispondere alle nostre domande, sperando non siano state noiose, c’è Jessica Einaudi.
La Blanche Alchimie è un qualcosa che spende delicatezza già dal titolo e che a discapito di una gigantesca noia, quasi galattica, si presta all’ascolto senza riserve o remore. Il lavoro di Federico Albanese e di Jessica Einaudi permette ai dieci brani del disco di risultare pieni di una armoniosa vitalità e luminosità. Non avevo mai ascoltato questo attraente lato della noia.
Beh si, certo il nostro intento non era annoiare… Quello che abbiamo espresso era proprio il bisogno di scappare dalla noia, la noia concepita come oppressione, paralisi, quel senso di angoscia che avvolge quando sembra che non ci siano via di fuga. Le vie invece ci sono, credo che se tutti inseguissero di più le cose belle che ci sono fuori e dentro di noi si starebbe meglio. Cio’ non significa che il nostro album parli solo di cose positive, abbiamo dato una nostra visione del mondo nella sua complessità , tirando fuori il dramma che porta a questa noia da una parte, e dall’altra nuotando in sprazzi di luce che si possono trovare scappando via. Non è semplice descrivere questa idea, penso che tracciando un filo fra le dieci canzoni che compongono il disco si riesca a capire meglio. Naturalmente non siamo partiti dall’idea di voler creare un concept, ma alla fine, guardando l’album nel suo complesso, i testi e le musiche sembrano raccontare questa storia, o immagine della realtà/irrealtà.
“Noia galattica”, il titolo può fuorviare più di qualche ascoltatore poco attento. Da dove nasce?
L’espressione “noia galattica” mi è venuta scrivendo il testo della canzone che porta questo titolo. Ho iniziato a pensare a me stessa e a quanto spesso mi senta sbagliata. Tutti si sentono così ogni tanto no? Uno cerca di essere giusto e si si sente sbagliato, si costruisce una barriera per sembrare come gli altri ma è sempre più’ diverso, repellente. Le provi tutte, lo sballo, affondare in un altra persona, chiudersi in se stesso sperando di svanire. Non c’è via. E allora anneghiamo insieme nella noia galattica, ho pensato. È stato come dire, accettiamo questo stato e lasciamo che ci trasporti, senza far finta che non ci sia. La noia supera se stessa e diventa galattica, ti mostra delle strade nuove e forse ti puo’ anche curare. Quando abbiamo finito di registrare avevamo tantissime idee per il titolo del disco, ma poi abbiamo capito che Galactic Boredom era quello più azzeccato, perché riassumeva praticamente tutto quello che avevano detto in una sola espressione. Forse chi non sa cosa significa può non capire, ma sinceramente anche se non dovesse farlo credo resti un bel titolo.
Quali sono le fonti di ispirazione che hanno permesso la costruzione di Galactic boredom?
Qualsiasi cosa può diventare una fonte di ispirazione. Noi ci muoviamo molto, da quando ci conosciamo siamo diventati un po’ come due nomadi e questo aiuta a trovare continuamente nuovi stimoli creativi. Credo siano state le cose che abbiamo vissuto negli ultimi anni, la situazione in italia che è terribile, la gioia che proviamo entrambi quando siamo circondati dalla natura, stare in solitudine e pensare tanto, buttarsi nella città e divorarne ogni particella. Tutto quanto ci contamina, nel bene e nel male.
Potendovi dividere i meriti lo fareste al 50 percento oppure sarebbe giusto ripartirli in maniera differente?
Sembrerà strano ma in effetti i nostri meriti sono davvero divisi a metà. Ci abbiamo pensato bene e abbiamo capito che è proprio così. A volte Federico scrive una musica con anche la linea vocale e io scrivo solo il testo, ma altre volte arrivo io con una canzone pronta e lui fa solo l’arrangiamento. Altre volte ancora scriviamo insieme. certo io sono più la voce narrante e lui quella musicale ma sono due aspetti entrambi fondamentali e con lo stesso valore.
Quanto è difficile proporre al pubblico un secondo lavoro che non sia “troppo uguale al primo” oppure “esageratamente diverso
dall’esordio” per un gruppo essenziale come il vostro?
Con questo disco abbiamo conservato alcuni elementi che avevamo già esplorato nel primo disco perché li sentiamo parte del nostro sound, e abbandonato delle cose che non ci appartengono più. Il fatto è che bisogna essere convinti al cento per cento di quello che si fa e proporlo senza timore. La cosa che hanno sottolineato in tanti e che pensiamo sia vera è che siamo partiti da alcune suggestioni già presenti nell’album di esordio per andare oltre e fare meglio. Secondo me è importante ricordarsi sempre quello che hai già fatto, non perché non sia possibile rinnovarsi, ma per mantenere un filo di continuità che crea la storia di una band. E poi fare un autoanalisi ogni tanto e capire la propria personalità per capire come muoversi in futuro.
Galactic boredom è pregno di una tensione quasi drammatica, riflette o racconta qualcosa di particolare?
Credo di aver già in parte risposto a questa domanda..il dramma di questo disco nasce in fondo dal non ritrovarsi nella realtà che ci circonda e nel dover trovare altre strade per stare meglio. C’è una canzone nel disco intitolata “The sound of marbles” che descrive proprio questo. Sentirsi senza fiato, senza aria, fissare le tende e cadere nel vuoto. E poi ripensare al suono delle biglie di quand’eri bambino, ai passi della nonna che ti raggiungeva per giocare. Anche queste sono piccole cose che ti possono salvare.
A quali dei dieci brani contenuti in questo lavoro avete dedicato maggiormente la vostra attenzione? Ce ne è stato qualcuno che ha avuto bisogno di un “occhio di riguardo”?
“Black girl” è una canzone che ha diversi anni. È uno dei primi brani che ho scritto con la chitarra quando avevo 22 anni. La prima versione registrata era piano voce e violoncello… poi con il mio primo gruppo l’abbiamo fatta con le chitarre elettriche e una base elettronica. Doveva entrare nel primo album de La Blanche Alchimie in una versione chitarra acustica, violoncello e batteria ma non ci soddisfaceva e lasciammo perdere. Abbiamo continuato a suonarla dal vivo, piano e voce. Quando finalmente stavamo per registrarla abbiamo capito che quell’arrangiamento non funzionava, dovevamo darle un’ altra atmosfera. Con l’aiuto di mio padre alla produzione artistica e del fonico, Gianluca Mancini, abbiamo creato un crescendo di suoni acustici ed elettrici e finalmente abbiamo dato a “Black Girl” un posto dignitoso in questo mondo. Molti brani sono filati lisci, anche Galactic Boredom è stata complessa perché non ci piaceva il suono della voce e abbiamo provato tutte le stanze e i microfoni disponibili per raggiungere un risultato che ci convincesse.
Come è nata l’idea per il video di “Fireflies”, il primo singolo estratto da Galactic boredom?
L’idea è nata dal luogo.Un cimitero abbandonato nel quartiere di Stoke Newington a Londra, dove vive mia cugina Malina e il suo fidanzato Alejandro. Quando ci hanno fatto vedere questo posto assurdo le abbiamo proposto di girare il video ambientandolo in quella location incredibile. Lei si è entusiasmata e ha scritto la sceneggiatura, un idea semplice su una persona che fa un sogno ad occhi aperti in mezzo alla città e si ritrova in una foresta ad inseguire una ragazza vestita di bianco. É stato divertente. Sul set poi abbiamo conosciuto Beniamino Barrese, fotografo e direttore della fotografia, che ci ha poi scattato delle bellissime foto (quelle che vedi in questa interviste sono sue, ndr).
In alcuni brani il cantato in inglese sembra leggermente “forzato”, avete mai provato il cantato in italiano? Se si, perché la decisione
di scartarlo?
Non abbiamo intenzione di scartare l’italiano, semplicemente ci è venuto naturale scrivere in inglese per questi primi due dischi. Credo sia il contrario di forzato perché l’italiano fino a poco tempo fa ci sembrava una lingua poco musicale mentre l’inglese è così’ fluido e permette di esprimere tantissime idee in poche parole. Mi sono fatta aiutare da amici madrelingua inglese per i testi e la pronuncia e mi sembra di aver fatto il mio meglio, pur non avendo cantato nella mia lingua.
Dopo la pubblicazione di Galactic boredom quali sono i progetti futuri per il vostro gruppo?
Nei prossimi tempi gireremo ancora un pochino per l’Italia e nel frattempo butteremo giù un po di idee per nuovi progetti, comuni e individuali, che stiamo sviluppando.
(Lorenzo Tagliaferri)
Foto: Beniamino Barrese