Ascoltare A Latex Society è dire addio a ogni tipo di logica (caso mai ne esistesse una) nell’ascolto di un album. Inizio subito nel segnalare, in maniera ridondante, che se gli Esdem in Italia verranno mai visti/sentiti come degli individui confusi e strabordanti nella loro vivacità compositiva, qualche centinaio di kilometri a Nord verrebbero subito additati come geni/rivelazioni-dell-anno/nuovi-radiohead.
Ma questa è una situazione nota. In questo disco finalmente c’è follia pura, classe e grande coraggio. Qui la coerenza sonora è vietata, quasi come la gioia di vivere; si parte con qualcosa che ha a che fare con i Beatles (quelli in acido), si prosegue sulla scia di zio Reznor (che fine hai fatto?), attraversando campi di riverberi e voci intrecciate nonché ombre dei suddetti patrigni di Kid A e sperimentatori di drum machine vari. Citerei tutto lo scibile enciclopedico del pre/post rock per accostare, via via che il disco scorre, questi simpatici marchigiani a qualcuno di sempre più famoso o improbabile. La verità è che questi sono onestamente pazzi da legare e bravi come pochi per quanto mi è stato dato di ascoltare ultimamente. Se solo i dEus (per citare i più cotti) venissero in contatto con “The cold the neon light”, si vergognerebbero finalmente dei loro ultimi lavori e andrebbero ad invecchiare in silenzio nelle ridenti lande del Belgio. Disco consigliatissimo con l’augurio agli Esdem di essere apprezzati e lasciati sfogare come meglio credono, a Sud e a Nord, nei vari continenti, alla faccia dei confini terrestri e sonori. E allora W i pazzi, e i pazzi siete voi.
(Gabriele Gismondi)