Il flower-punk dei Black Lips è davvero interessante. Anche se ci si può trovare in difficoltà ad intendere il genere la semplice spiegazione è nei sedici brani che compongono il disco e che si lasciano ascoltare senza troppe pretese da parte di una band che di strada ormai ne ha percorsa parecchia e che ha trovato una stabilità dentro un genere semplice da eseguire ma non altrettanto facile da costruire.
I tre accordi del punk, in questo caso, si trasformano in un virtuoso circolo di mix in levatura rock che non disdegna la sistematica confusione del garage, e già dall’apertura di “Family tree” si può notare con quanta confusa ma melodica energia vengono trattate le basi in perfetta sintonia con la voce di Cole Alexander. Stesse ragioni che valgono l’ascolto per le successive “Modern art” e “Mad dog”, quest’ultima dall’accento marcatamente psycho, inframezzate dalla più delicata “Spidey’s curse”, ripresa nelle ritmiche da brani come “Mr. Drive”, che si presta anche ad un cantato ruvido in background e “Raw meat” dove l’acceleratore è spremuto da un rotondissimo riff di basso. Alla Beach boys, ma con una mood assai più oscuro è la splendida “Bone narrow” che si libera di orpelli inutili e punta l’occhio di bue sulla parte vocale dando una perfetta profondità al brano, lezione riutilizzata al contrario per la più solare “Time” e la meno urlata e singhiozzante “Dumpster dive” che chiede uno sforzo vocale non indifferente. La parte più ipnotica e psichedelica di una band multifunzione viene fuori nella gamba finale del disco con un terzetto di brani da podio come “New direction”, “Don’t mess up my baby” e la conclusiva “You keep on running” che riassume e controverte un lavoro assai potente e piuttosto orecchiabile nato da un periodo molto ispirato per la band di Atlanta. Arabia Mountain, prodotto dalla Vice Records (la stessa di gruppi come: Bloc Party, The Ravoenettes e The Streets) è un ottimo lavoro che prende la testa di un gruppo di musicisti molto bravi del rooster della casa discografica diventando la punta di diamante tra tutti gli artisti proposti grazie anche alle sonorità genuine e prive di esagerati rimescolamenti in fase di missaggio. É cosa buona e giusta riporre nelle proprie teche una copia di questo album senza lasciarlo cadere nel dimenticatoio.
(Lorenzo Tagliaferri)