Quanti odori si sentono uscire da questo Guellarè – bambino in arabo – del musicista calabrese Cataldo Perri ed il suo Squintetto, quante sonorità, sguardi, sogni e delusioni escono dai solchi virtuali di questo disco che emana caldo e storie che aprono e stringono il cuore come un mantice di vita che non vuole fermarsi. Undici tracce che sono una perfetta mediazione tra passato e ragione, istinto e calcolo, forza e dolcezza estenuata, ma anche rabbia e lotta interiore affinché la catarsi della sabbia non vada a sedimentare per sempre quello che invece deve rimanere saldo e verace; per addentrarsi nelle ramificazioni del lavoro di Perri è necessario calarsi nella sua filosofia per lasciarsi permeare dal flusso di quel caos che egli stesso legge come elemento significante dei nostri tempi.
Idiomi sonori arabi, melanconie mediterranee di fascinazioni solitarie e sociali (“Carrette di mare”), l’esplosione della tradizionalità senza tempo (“Tarantella”), gli intrecci e i macramè di corde acustiche assieme a svolazzi di sax soprano che si legano come mazzi di ricordi e nostalgie d’infanzie del Sud (“Guellarè”), il soffio latin di fisarmonica che conturba di slogamenti liberi l’andatura sciolta e amara di “Controvento”, la passione forte e tempestosa che invoca in dialetto uguale umanità e un’identico cuore che batta in un unico petto (“L’anima du munnu”) e quell’emozione sottoforma di preghiera per chitarra battente (“Battente per Faber”) che l’artista Perri ha voluto dedicare al grande poeta De Andrè, fanno tutte parte di un progetto che oltre convogliare emozioni seriali e colori accecanti, danno quella presa di coscienza che grida e ama nello stesso tempo l’immagine dell’uomo come punto cardine della storia, delle storie.
Ed è un continuo racconto che Perri bagna di mille effervescenze, il bendir, la darabuka, l’oud, la lira calabrese, il didjeridoo, il buzuki, cajon e tante altre magie strumentali che si inseguono e accreditano in questo stupendo disco che ha la malattia agognabile della pura e semplice “sensazione di viaggio e agroamarezza di approdo”, aggettivazione che sonorizza di verità e stati onirici queste meravigliose e incognite terre musicali dove la musica diventa vita e spiritualità laica, prima, ma molto prima, di pensare di trascendere nel divino.
Etnicità e amore per l’altro e per lo ieri sono rinchiuse qui dentro, per il mistero del futuro – se ci sarà – siamo benedettamente lontani. Disco da possedere.
(Max Sannella)