Il mondo che sto ascoltando è quello di Marcello Parrilli, musicista toscano di Pontassieve, un mondo color seppia, un cosmo di “artwork maledetti” d’alto rango che fanno cultura e musica nello stesso istante che questo suo nuovo lavoro Elogio alla diversità prende il giro su un qualsiasi riproduttore di suoni – definizione elegante per definire un comune stereo – e si lascia catturare da palati fini, da leggiadre vibrisse virtuali.
Sparsi per tutto il registrato mutamenti stilistici, alti e bassi, contatti confidenziali col pop-rock epico, “Gli spazi infiniti di Amleto”, traccia ispirata dalla storia del Principe Amleto di Danimarca narrata nelle tragedie di Shakespeare e qui cantata insieme con Max Larocca, la ballata openchords di “Elogio alla diversità” che apre, come un improvviso colpo di vento, le persiane di queste stanze d’autore e le mette in piazza avviando un discorso intimo e profondo che l’artista “urla” dal di dentro con l’eleganza e l’urgenza espressiva di una candela al crepuscolo prima che diventi moccolo; quest’opaca purezza musicale che fonde momenti vitali e stati riflessivi molto navigati, è fortemente legata al passato, ai sogni e all’uomo Parrilli, una scrittura personale che non si gioca la vita in ogni frase, ma la innalza e la ritira fuori dei cassetti della memoria, e la bellezza amarognola di “Vagabondo” dedicata a Charlie Chaplin o il tuffo leggermente spennato e reinventato di “Una stagione all’inferno” di Rimbaud ne sono i fari lampeggianti in quest’isola di piacere uditivo.
Nel cantautorato colto, la musica agisce sulla memoria e sull’abilità del ricordare anche confusamente e vedere magari le cose più belle o più grandi di quello che erano in verità, e questo disco condivide pienamente quello che – anche se non lo si vuole a tutti i costi riconoscere da parte di tanti – l’emozione rende devoto e ne tramanda all’altro il senso compiuto del messaggio che ogni “maestro di penna e suono” disegna nell’immaginazione della moltitudini; dove il volo d’ascolto magari si posa stanco sulle frondosità elettroniche di “Malinconia” poi riprende il largo alto di “Indifferenza contemporanea” strumentale fil rouge con l’assenza di parlato nella vita dell’oggi e per finire poi nel finale aperto, armoniosamente imbronciato di una chitarra elettrica che stride come una cicala in “Notte di San Lorenzo” che ci riporta a quelle persiane aperte dell’inizio e che pian pianino si richiudono come le palpebre di un sognatore che ha fatto il pieno di poesia per poterla distribuire con gioia il giorno dopo, un altro giorno di elogi alle diversità.
Marcello Parrilli è un costruttore di storie straordinarie che va tenuto stretto gelosamente.
(Max Sannella)