Laidi, sbavati, grezzi e meravigliosi. Mighty Mike (armonicista) e T-Man (chitarrista) per tutti Juke Joint Pimps, vengono da Colonia e sono cresciuti a pane nero, crauti e blues di quello assatanato e maledetto, dove vi sono appese le anime di Elmore James, Muddy Water ed Howlin’ Wolf, e fin qui non ci sarebbe nulla da confutare se non che usano un armonica Hohner orgoglio nazionalista, registrano l’album in uno studio svizzero, non gli piace il Mississippi e sono allergici ai riti voodoo. Vallo a capire il mondo!
Boogie The House Down è il loro progetto in duo fuori dalla formazione in cui militano, i Silverstone, e non è un semplice disco, ma un diamante grezzo che sprigiona vita e ritmo blues da tutti gli interstizi possibili, dalla copertina cartonata alla plastica del supporto, un blues suonato e cantato con lo spirito del punk destroyer così da formare un contrasto vincente e a suo modo strabiliante che giustifica mille volte in più la contrattistica di anime tra questa musica e il Lucifero dei Baton Rouge.
Tutte le tracce sono state registrate sia in analogico e in mono e si seguono con quella stupefacente “friggitoria” di vinile rigato e sabbioso che tanto piace agli appassionati di high-vintage, un ascolto che sembra tornare da altri tempi, un flusso continuo, ininterrotto d’Alabama o Tennessee, cotone, Nigger Pride e riscatti sociali, Bourbon dei ricchi ed acquavite scialba per poveri dei tempi del proibizionismo, e tutta questa mercanzia d’ordinanza gira qua dentro, in questo pianeta “a parte” padre della musica delle musiche; con Memphis dietro l’angolo, gli JJP dopo un doveroso regalino al mito di Robert Johnson con la rivisitez di “Dust my broom”, fanno sane capriole tra gli slide catramosi e ubriachi di “Mean and devil”, rasentano i borderline di Eric Sardinas tra le pieghe di “4 season love”, trincano a volontà riversando alcol puro dentro l’armonica nelle stomp-marchin’ che dondolano in “Costipated blues” e “Money honey” e poi, dietro un piccolo siparietto si travestono da shouters incalliti e lanciano in orbita “Shy guy”, tripudio di swing clubbing che lascia nell’aria circostante il sentore divinatorio di un Buddy Guy in trasferta tra cuore e fegato.
Non è facile trovarsi tra le mani dischi del genere che suonano antico ma usciti dalla passione insospettabile di musicisti moderni, non è la solita chincaglieria per affezionati coi calli nelle orecchie, ma una turbolenza in multitraccia che, oltre che indottrinare come una droga, non richiede un pass con su scritto: “Suona da Dio”, a questo ci pensa Balzebù!
(Max Sannella)