Per iniziare, partiamo da una precisazione: questo disco non è un EP. Come si fa a definire tale un album che supera i 40 minuti di durata? Se il concetto di EP fosse unicamente legato al numero esiguo di tracce (cinque in tutto), si finirebbe col far torto a quel prototipo di LP tipicamente anni ’70, dove il primo lato era occupato da quattro-cinque composizioni di durata più o meno standard e il secondo ospitava un’unica suite spesso superiore ai venti minuti. Non si può prescindere da questo modello, specialmente nel caso dei Shinin’ Shade, band di Parma che proprio da quegli anni ’70 sembra essere giunta a bordo di una DeLorean alimentata ad LSD.
Negli ultimi tempi pare che finalmente si sia cominciato a rielaborare in modo originale e convincente certo hard-rock, che sembrava ormai morto o ridotto a bieca parodia (leggere alla voce The Darkness), grazie ad una maggiore profondità di analisi e ad una buona dose di psichedelia, necessaria per dare nuova linfa ad un genere troppo spesso legato ad un’estetica glam, ma che invece nasce da una rielaborazione oscura e lisergica del blues. Meno Queen e più Black Sabbath quindi. C’erano già riusciti discretamente i Wolfmother, avevano fatto (e continuano tuttora a fare) decisamente meglio i mai abbastanza lodati The Black Angels e finalmente ci hanno provato anche quattro nostri connazionali. Il risultato è davvero sopra ogni più rosea aspettativa. Questo pseudo-EP dei Shinin’ Shade è l’ennesima prova che l’underground italiano sta vivendo un periodo di grande fervore artistico, specialmente lontano dalle grandi metropoli. Un sound incredibilmente maturo, privo di ingenuità e manierismi che un genere come l’hard-rock spesso porta con sé, che convince (miracolo!) anche nella suite finale di ventidue minuti. Per i nostalgici, smettetela di raccontare ai vostri figli la leggenda delle due dita di Tony Iommi e cercate il live dei Shinin’ Shade più vicino a voi. Per tutti gli altri: enjoy your trip.
(Federico Anelli)