Terza prova all’acqua bollita per i Danesi Who Made Who, Kneep Deep, una poca esaltazione convergente che non fa altro che rintozzare casa e panni sporchi in quel limo oscuro della violentata new wave sturbata da elettronica dance noir e Ian Curtis a go.-go, sintetismi discotecari di sangue New Order e nient’altro che possa giustificare la presenza sul piatto stereo per almeno un dieci minuti d’orologio.
Ma cosa hanno in mente questi gruppi replicanti, che smarcarsi dai luoghi comuni e fare finta che lo tsunami della creatività sia una cosa sterile per giovani intraprendenti e smaniosi possa deviare viziosamente la perseveranza di suonare, scrivere e incidere fritti inaciditi – non psichedelici – inaciditi ad oltranza? Gli WMW non hanno scampo, vanno ad affogarsi in un oceano di citazioni e ondate di stanche musicali che al massimo vanno a sollecitare narcolessia a fiotti, un disco che si dimena senza fiamme e che lascia alla batteria elettronica il compito di far palpitare il freddo che non sa scaldare nulla.
Synthetizzatori che si sgolano sopra e sotto una paranoia totale, musica per B-movies dopo essersi sfogati a dovere con il batticuore allucinato di FatBoy Slim, un disco “acerbo” e che ancora s’innamora d’ascolti d’altri tempi, ma d’altri tempi davvero; si potrebbe proporre questa terza “fatica” per nulla dei Danesi come un gonfio pensiero nichilista che va ad impersonare una riconciliazione con gli anni di plastica e valvole – gli 80 – ma preferiamo non affondare oltre la lama della critica e lasciare a voi il cuore o lo stomaco di andare a puntellare un vostro proprio pensiero tra le otto tracce tutte uguali e senza personalità, che partono da “There’s an answer” e finiscono con “We’re alive, it’s a miracle”, e solo allora – liberamente – potrete decidere il destino di questo disco. Onestamente? Bravissimi imitatori esangui da non prendere minimamente in considerazione.
(Max Sannella)