Ha portato un po’ di rivoluzione tra le gerbere e tulipani del palco “giovane” Sanremese, lui, quest’alto ragazzo d’Urbino, impacciato nelle presentazioni ma mago di “stride piano”, non ha avuto tentennamenti e si è messo in gioco nel gioco e l’ha spuntata con tutti gli onori del caso. Un fenomeno di casa Sugar preparato coi fiocchi? Una santità di provincia baciata dalla fortuna o un caso programmato dalla classe? Questo lo ignoriamo, ma non possiamo ignorare che il vate Paolo Conte sia stato chiamato in causa – virtualmente – un bel pò di volte, ma del resto chi non ha santi in paradiso scagli la prima pietra, e lui, il Raphael Gualazzi della scommessa vinta, sorride goffo e comincia a far ballare la rumba ai testi del suo pianoforte.
Reality and Fantasy è il disco della freschezza demodé, retrò modernizzato che sprizza lapilli geniali e “sapienza parlante” come il Grillo Disneyano che non si vede mai ma c’è, un’apertura importante e principalmente giovane che va a rinnovare totalmente il guardaroba oramai liso del jazz swingato, quello con un occhio nella tradizione e l’altro che sbircia nelle anticamere colorate del pop & affini, Allevi non incluso ovviamente; tecnica, cura negli arrangiamenti, estro, polvere di stelle e vecchi merletti, fanno di queste quindici tracce quella ventata di sana spettacolarità uditiva, quell’idea astrusa di raccolta indifferenziata di sonorità e mood con cui il Gualazzi d’Urbino combina in un puzzle di pregio e classe. Da consumato jazzer, l’artista si muove gattone tra italiano ed inglese con sobrietà e smacco, infila filler d’oro con la tromba di Fabrizio Bosso, incanta la tastiera del pianoforte come uno chansonnier d’altri tempi, sperimenta e riabilita nel remix della title-track con Giles Peterson, quell’ardore soft e sparuto d’elettro-jazz che ha gonfiato le vele del chill-out da St.Germain, il Tricky solitario, Thievery Corporation et similia; e tutto prosegue nella direzione dei sensi, arriva l’alito caldo e coloniale di Conte “Calda estate”, “Lady “O”, il funky campionato Stevie Wonder style “Scandalize me”, le spazzole clubbing “Out of my mind” ed il soul che fa l’occhietto malizioso al pop di Ben Harper “A three second breath”.
Grande aspirazione e grande ispirazione ruotano intorno al corpo massiccio di Gualazzi , il gigante buono dello swing effervescente che abbraccia il traditonal mood e le penne di Jamiroquai, un dotato vocabolario personale che contempla la lacrima nera di Fats Waller e la lascivia del blues da bordello Parisienne, con in mezzo il senso intelligente della freschezza genuina, lontana da commemorazioni, vicinissima – anzi – addosso alla contemporaneità di un mercato musicale dotto e speciale. Non ci libereremo tanto facilmente da Raphael The Giant.
(Max Sannella)