L’abituale stato di collocarsi negli scuri del buio come spinta antropocentrica messaggera del post-rock ad oltranza, fa del duo ragusano Di Viola Minimale, Davide Cusumano chitarra/voce e Roberta Corallo basso, la forza sperimentale che più di tutte fa costruzioni sonore antigravitazionali ed in continua evoluzione, mutanti e magmatiche senza compromessi di sorta.
Giunta al terzo appuntamento su disco, La dimensione del colore, la band sicula torna a rimescolare tutte le sottosfumature delle sinfonie Leedsiane in tensioni celebrative da concept, fornendo a queste sette tracce pathos e visioni autorali d’indiscusso pregio, un rotolarsi nelle ossessioni intime minimaliste e un risveglio emozionale che vibra ogni qualvolta le tracce si snodano sotto l’occhio imbambolato del lettore stereo.
Quasi ventuno minuti di tensioni, stati di calma apparente, oblii e spiritualità noir Godaniana che s’inseguono, intrecciano e subliminano per tutta la stesura del disco, facendo cerchio compiuto a quell’attitudine della band di meravigliarci nello scendere fino in fondo nel tunnel dell’anima per poi contaminarla di tremori e sussulti; ascoltare questo lavoro è come mettersi all’angolo o al bordo tagliente dell’esistenza e seguire un qualcosa che non si placa al solo scorrere improcrastinabile della meccanica stereofonica, ma è contribuire al galleggio di un fascino scuro e sinistro – a seconda da come lo si vede – che solo il post-rock delle macerie fumanti degli anni ottanta riesce ancora a trasportare fino ai lidi dei nostri giorni e questa band/duo è meravigliosamente “inventata” per poter rinfrancare e riannodare i nodi maestri di quella filosofia.
Vogliamo definire questo sette tracce un Trippy notes? Sì, certamente, con la scrittura ci siamo, con il consolidamento strutturale poetica/emozionalità ok, non rimane che farsi deglutire dalle voglie di cupo e fiamme che gravitano nelle parti 1 e 2 di “Nel giardino dell’esilio”, per poi intorpidirsi nelle nebulose caotiche di “Il paradigma del valore introspettivo dei sette giorni”, e alla fine riconquistare la sensazione vigile dei sensi di “Retro V.M.”, ottima ballata regno di una chitarra distorta e lasciva da libidine, fino a farsi sopraffare di nuovo dai richiami ineguagliabili e circuitivi di due perle messe a cerniera lampo di tutto, “Di cobalto e di viola” ovvero l’incanto fatto canzone e “La presa di coscienza” un insieme di piano, batteria, voce e chitarre che rimbombano nel silenzio del rumore.
Semplice, astruso, corretto, difficile, quanto tempo si perde ogni volta che bisogna colorare di critica un disco dai colori preliminari oscuri tendenti al nero, quante masturbazioni lecite o illecite in tanti fanno per soppesare un “volo discografico” che più di tanti altri riesce a librare più in alto, Di Viola Minimale hanno questa facoltà, non possiamo farci nulla se dal buio freddo delle loro fonti ispiratrici riescono a tirar fuori calori e brividi come nessun altro.
Stupore garantito!
(Max Sannella)