All’interno della scena cantautorale della capitale vi è una propria e vera comunità composta da giovani “cantastorie” che può considerarsi la nuova anima sonante della parola sognante, il nuovo seme sonico che si espande attraverso una chitarra, un palco – quando c’è – tre o quattro rime da cucire ed un pizzico di fortuna che non guasta mai; Roberto Scippa è un piccolo diamantino di questo spirito, la concretezza volatile di una penna che scava e di un’inconfondibile urgenza a raccontare storie e nuvole con gli occhi interessati alla vita: un crooner graffiante e tenero dal sangue rosso come un tramonto sulla linea dell’immaginazione vera? Può calzare a pennello.
Vagando dentro è il suo primo lavoro ufficiale, tredici storie non di militanza, ma di “transumanza” si, di transumanza tra il nostro intendere il viaggio sonoro ed il suo volo costante, planimetrie sorvolate, melodie approfondite e un cuore che pulsa ritmi esotici, stranieri, ispirati e dinamici come un tenue risveglio di coscienza che non ci abbandona mai dal primo all’ultimo pezzo; se la strafottenza e il gusto disinteressato di molti raccounteurs paraculi rappresenta la condivisione del disagio di tanto romanticismo votato alla dispersione in chiave “orecchiabile, l’arte di Scippa si divincola – in controtendenza – in maniera esemplare da questi tentacoli imperversanti, la sua è poesia che fa tanto bene alla musica d’oggi, la sua genuina ispirazione che, una volta unita al cordame acustico della sua chitarra, è pacchia per il buon sentire, lezione d’eleganza indigena di tutto rispetto e una forte propensione a farci salire in verticale sulle vette del piacere uditivo.
Sospeso tra folklerismi di fronda, essenze yankee looner che girano circospette e dolcissimi psichedelici giramenti di testa mantrici, il disco è un vero vagare dentro, un nuotare amniotico tra percezioni e concetti, fumi e vapori che incantano senza mezzi termini, un andare incontro ad una magia suonata che scioglie – o dovrebbe – anche il giornalista o il critico più incartapecorito; ma rimaniamo sempre sul concetto che la roba buona è sempre materiale per pochi, ed allora – giacché qui dentro non c’è nulla da gettare all’inchiostro rosso – teniamocelo stretto come un tesoro inaspettato, e spicchiamo verso l’alto con il brio delicato di “L’invisibile presente”, liberiamoci il corpo nel sublime mantra in loop station (“Il mio corpo di cristallo”), perdiamoci nei field ventosi e preoccupati (“La testa che gira a vuoto”, “Mistero nel profondo”) appendiamo l’animo nelle punteggiature di “L’energia per le stelle” e restiamo a guardare le stelle sopra una westcoast amarognola (“L’amore inizia cosi”) che scivola via in un abbraccio imbronciato di violino e uno svisino sbavato a romanza che ti tira giù a forza una piccola lacrima color acqua.
Roberto Scippa, che già nella copertina si pone in controvento alla vita, con quest’esordio ci lascia soddisfatti e pieni di voglia di essere altrove, è il buon responsabile di un qualcosa che ci rapisce immediatamente e che – una volta vaganti dentro queste tracce – sarebbe stupefacente non trovarne mai la via d’uscita. Stupendo.
(Max Sannella)