I treni all’alba sono quelli che spesso viaggiano tra le insonnie della notte precedente, e a differenza di quelli che tagliano in due i nostri sogni diurni, lasciano intatto l’odore e l’effetto di un’architettura che non è poi così difficile capire, è la costanza di raggiungere il nostro animo profondo, scalfirne l’essenza e usarla come combustibile per fuggire via definitivamente, nessuna meta ma fuggire via definitivamente.
La band dei I Treni all’Alba formata da Daniele Perini, Paolo Carlotto alle chitarre, Sabino Paci tastiere e Felice Sciscioli batteria, qui coadiuvati in qualità di guest dal basso di Francesco Vittori e dal flicorno di Ramon Moro (solo nella traccia “L’arte della guerra”), viaggia tra metafore e melodie e si muove all’interno della musica con l’impatto ed il pathos dell’esplorazione stilistica che in questo loro 2011 A.D. (L’Apocalisse della porta accanto) fanno vento di conquista, lo zeffiro della potenza tenue e muscolosa ed il profumo dell’osare oltre l’immaginazione di una tracklist qualunque.
World, battiti etnici, jazz, prog, piccoli prodigi di corde classiche e atmosfere silvestri, si rincorrono gioiosi, ora tra lancinanti openeir mentali, ora tra avventure cinematiche dai colori seppia, il tutto ricamato ed imbastito con grazie ed energia, mai un disimpegno per tappare qualche falla nella stesura, tutto un compendio tecnico e professionistico che ti scapiglia i capelli contro vento e ti porta via, tra lidi e odi che altrimenti non avresti mai avuto occasione di percepire attraverso un sintetico cerchietto di plastica.
Un disco agro e melanconico, spavaldo e sognante, un disco strumentale e sfaccettato che ti permette di raggiungere un ascolto altolocato, schietto, vero, e non lo si dice per fare “zucchero”, ma è onesta verità quando si afferma che questi Treni hanno il raro sangue misto che tutto ingoia e tutto rilascia nel medesimo istante che il tuo ascolto si è fuso con i loro accordi senza frontiere musicali; diventi ragno privilegiato tra i macramè di corde ora arabe ora Southern (“Intro”), prendi a correre inseguito dal running progressive di tastiere (“L’arte della guerra”), ti trovi a galleggiare sul celluloidi Morriconiane dal sapore aspro del Sud (“Tempi moderni?”), danzi strane milonghe schizoidi in bilico tra classicume e avanguardia (“Fino alla fine…del mondo”) per poi acquietarti nella mediterraneità dolciastra di “Streghe” traccia in cui s’intrufolano, avvinghiano e amano schizzi rock e lingue free jazz, in una stupenda guerra “caldo/fredda” che innalza il power dell’intero lotto registrato a picchi inestimabili.
Nello snocciolarsi degli anni settanta, questa band avrebbe fatto parte e costituito grandi numeri in quell’immenso circus del progressive, magari inserendosi tra L’albero Motore o Quella vecchia Locanda, e perché no assemblandosi in toto con la primigenìa del Banco del Mutuo Soccorso, ma questi sono discorsi che contano poco nell’oggi, quello che si consiglia ora è di non perdere questi diabolici d’ingegno chiamati I Treni dell’Alba, è una succulenza sonica che non va sciupata per nulla, dunque attenti al loro lontano fruscio che arriva, anche perché di questi treni non ne passano più. Consigliatissimo!
(Max Sannella)