Adam Scott, Kim Moore, Matt Brennan e Michael John McCarthy, per tutti Zoey Van Goey – da un film di Pressburger & Powell (A Matter Of Life & Death) – dichiararono al mondo che nella terra di nessuno della musica un certo spippolamento di godibilità senza tanti impegni di mezzo ci può stare senza cadere nel frivolo teenpop, basta crederci e mettere in moto l’audacia, il resto farà la sua parte.
Con la timidezza pionieristica dell’Ep The cage was unlocked all along avevano destato interesse e negli appartamenti della critica si era gridato – a mezzo tono – di una probabile nuova brezza pop alternativa che, nello stallo di trampolino di lancio, stuzzicava all’infinito; ora la prova del nove arriva con Propeller Versus Wings, l’album conferma di una band che, sebbene nata ed ingrassata a pane e Yo La Tengo, The Magnetic Fields, ricche pasturazioni folk irlandesi e bibende copiose di easy British, non è riuscita a staccarsi dalle vetrofanie ispiratrici, nessun centimetro utile per provare ad imbastire un infinitesimale abbozzo di stupore, solo “le consuete” belle ballate di vetro liquido “Mountain of fire”, “Sackville sun”, “My aviator” traccia corredata da un vaudeville di trombe stilose, lo schizzo rock alla Talking Heads che brucia “You told the drunks I knew karate” e il beat che lampeggia al sapor di fisarmonica sintetizzata “Another day another disaster”, poi il resto è ottima petulanza, ma sempre petulanza rimane.
Un mellow sound che parla di andate, ritorni, tanti amici e nessuna vendetta, un senso ottimista della vita che inietta particolarità e passione leggera, ma che disegna anche una linea dubitativa su questa band di base a Glasgow: avrà lunga vita se non si ritaglia prestissimo un paio d’ali personalizzate e poi via, su per un cielo tutto loro a spampazzare una fresca personalità? La rivoluzione degli Zoey Van Goey speriamo arrivi alla porta, e se anche comporterà la perdita dell’innocenza “chissenefrega”, l’importante che smarriscano i Numi tutelari. Ora come ora insoddisfacentemente gradevoli ad oltranza.
(Max Sannella)