Sarà che il punk rock ha segnato varie generazioni di teenager tra cui la mia, sarà che al recente Rock in Idrho ho respirato e sudato un’essenza punk collettiva che quasi avevo scordato; a volte è bello lasciare da parte la ricercatezza dei suoni e abbracciare uno stile ben più schietto e semplice ma rigenerante come una birra media sotto il sole.
Anche se da ragazzino non sono mai stato un grande sostenitore della scena punk rock italiana, questi Gerson meritano una certa considerazione, questo perchè da quasi dieci anni si “spaccano il culo” per suonare e lo hanno dimostrato con le innumerevoli date fatte e poi perchè gente che ha già raggiunto gli “enta” e si ostina ad andare avanti sulla stessa linea beh… è da applausi.
Due chitarre un basso e una batteria, questo è quanto hanno bisogno i Gerson per far pogare il loro pubblico sempre numerosissimo ma vediamo un pò cosa ci riserva Il fondo del barile. Si parte con un’intro di pochi secondi: “Con la linea della vita sul palmo interrotta” è veloce e “tirata” con la ruvida voce di Paolo Gerson che “cavalca” sulle corde per poi andare a vedere “Il volo degli asini” ed ho già voglia di dare “due gomitate” agli amici in pista, (ma sono davanti ad un freddo pc) gran rime baciate che ti etrano dirette nel cervello e con un testo semplice ma comunque dal concetto forte e generazionale. La scelta di dare una durata piuttosto breve ai pezzi si è rivelata vincente per i Gerson, cercano sempre di condensare in uno/due minuti tutto quello che hanno dire, come con il “proiettile” della tracklist “Il fondo del barile” che rende quasi emblematico lo stato di “zero”.
C’è qualche calo di tensione con “Grilli per la testa” e “Triste” ma si recupera alla grande con “Fuori il prossimo”, bello accattivante e critico riguardo ad una società fatta di false apparenze.
Forse siete un pò delusi, ve li stò facendo apparire come persone troppo serie ma non disperate, è arrivato il momento “ignorante” , con “Ieri sera non dovevo bere” si và a rendere quasi emblematica la sbornia del sabato sera oppure
“Phisique du role” con quell’inizio che fà “ho coltivato il pelo sullo stomaco/ne ho tanto da regalarlo anche a te” che altro non è che la difficile vita dei Gerson nell’essere dei punk rockers. “Ho perso” è a suo modo quasi la “ballad” di questi milanesi con tantissimi coretti e un’armonica che dà quel tocco di malinconia quasi atipica per i Gerson ma ci penserà Carlo a scuterci un pò con “Carlo non farlo”, un pazzo omicida che tira fuori dalla sua panda una mannaia e che diretto in un supermercato farà piazza pulita. La chiusura spetta a “Radio”, non aggiugerà nulla a quanto già fatto ma và bene così, questi sono i Gerson, nessuna evoluzione è un disco che potrebbe essere datato ’92. É così, prendere o lasciare ma di sicuro hanno la capacità di rendere ogni concerto uno show e questo è merito del semplice e diretto linguaggio del punk rock.
(Andrea Tamburini)