Cinque album all’attivo per un ventottenne non sono certo pochi, Patrick Wolf dimostra di avere una vena creativa piuttosto trafficata e anche per quest’ultima fatica discografica l’ispirazione sembra che non l’abbia abbandonato. Se The Bachelor (2009) era un album cupo, e lo si percepiva sin dalla copertina, Lupercalia è il suo doppelgänger che risale in superficie e rimane accecato dall’impatto con la luce (ancora una volta visibile sin dalla copertina dove domina il bianco). È tutto molto chiaro sin dall’inizio: “The city” è un calderone di suoni (piano, sax, synth e fiati) dal ritmo ben scandito in cui la spensieratezza accarezza la malinconia ed è questa la matrice del disco riscontrabile dal primo ascolto. A fare da trait d’union c’è la voce dell’artista londinese che conferma di essere anche un bravo interprete mentre a rendere più vario il disco ci sono dei momenti in cui le atmosfere si dilatano cristallizzando il ritmo e lasciando incedere l’emozione: “Armistice” e “William” (che dura meno di un minuto ed è impreziosita nel finale da una voce femminile arabeggiante) ne sono due esempi lampanti, anche perché arrivano dopo i primi tre pezzi che sono piuttosto sostenuti: “The city” appunto, “House”, “Bermondsey street” e “The Future” . A seguire uno dei pezzi più riusciti: “Time of my life” gioca con un crescendo che precede il ritornello e rende tutto un po’ più imprevedibile, gli archi sono ancora in primo piano coi loro virtuosismi, proprio come in “The days”, una ballad e niente più. Infatti il disco nel finale perde un po’ di brillantezza pur rimanendo abbastanza apprezzabile. In definitiva il rito di purezza (i lupercalia erano i riti romani di purificazione) della musica di Patrick Wolf non è giunto ancora a compimento, il ragazzo si sta impegnando e di certo il viaggio che lo sta portando ad un approccio più diretto e meno ricco di orpelli sonori è un gran toccasana. Ci tocca aspettare ancora un po’ per vedere se il dio Fauno concederà la sua grazia al lupo.
(Fernando Rennis)