Il Rumore del fiore di carta provengono da Campobasso e nel 2011 realizzano questo LESSON 3/how to live without senses che è un disco semplicemente bellissimo. Tutto qui. Sarebbe bello chiudere così e consigliarvi solamente di andarvi a godere questo viaggio sonoro il più presto possibile. Presto, fatelo di notte, magari in macchina, verso mete ignote o bramate, non ha importanza quanto lontane. Qui c’è tanto cuore, potenza, sentimento da spazzare via tutto e tutti i finti poeti e sognatori moderni che invadono le nostre orecchie (a volte) senza ritegno.
Qui citare Mogwai, Giardini di Mirò, gli amici catanesi HC-B e persino i Tortoise serve solo a indicarvi un settore musicale volgarmente detto post-rock dentro il quale, nello scaffale più in vista, potrete trovare i 5 molisani e la loro lezione. Se tutto inizia con “Damaged Robots” (miliare!) e finisce al pianoforte (“The blind cosmonaut”), e i cieli intanto hanno cambiato colore senza che voi abbiate potuto farci niente, senza che un panorama o anche solo la parete difronte siano più gli stessi di prima, significa che qualcosa di importante è successo nelle vostre orecchie, anima e cervello. Allora il viaggio inconsapevole è di tutti noi che (forse ancora immobili) ascoltiamo questo disco respirandone la sincerità e il fragore. Lasciate stare Il rumore del fiore di carta se volete qualcuno che vi canticchi la sua frustrazione odierna o generazionale, teneteli lontani se volete assaporare la birretta in svagata allegrezza o ripensare alla scorsa estate in campeggio. Se state cambiando strada, se ancora avete addosso la ruggine di quel che fu, se siete arrabbiati e consapevoli, felici e visionari, questo viaggio è il vostro, di tutti noi, della creatività che stimola e asseconda. Allora bravissimi i nostri eroi, augurandoci di vederli in giro per il mondo a suonare in lande sperdute o in rinomati teatri dall’acustica perfettamente calibrata. Per ora ancora senza un più che meritato contratto discografico in questo strano mondo di musiche volgarmente dette. Tutto qui.
(Gabriele Gismondi)