I diari di guerra degli Ananda (Wardiares), secondo disco della formazione salernitana, anche dopo ripetuti ascolti vanno in cortocircuito sulla via di una non pressione naturale, più che un disco, una preghiera continua – elettrica o acustica che si voglia – che non si regge in piedi causa una debolezza di costrutto che parte da una voce fuori fase al massimo e si sterilizza in una turbolenza d’insieme troppo sotto l’effetto di una malinconia grunge, e che cosa può venire fuori da quest’autodeterminazione intensa che va a dividere con violenza il fattore o li ami o li odi, o li segui o li perdi? Nulla, la solita chiamata all’appello da parte di noi della critica a cercare di mitigare e di mettersi in mezzo per cercare spesso di decifrare il significato di tanto denaro ed energie buttate via così per fare un disco che non è altro che l’ennesima manciata di canzoni uguali a tante altre tonnellate che girovagano nel cosmo underground senza andare in avanti o indietro, lì a far la muffa di un’esperienza andata a male come ce ne sono tante.
Come fosse un figlio minore dell’unplugged dei Nirvana o degli Alice in Chains, il disco si muove narcotico e condizionato da un movimento di cello (bello tra l’altro) che è presente ovunque, nenie ed esplosioni elettriche compresse che se da una parte affascinano come un’esca suggestiva di psycho oriented (“Indian spring”, “Chapter II”, “Ground”) dall’altra non indugiano ad annoiare con blande fantasie strumentali, o perlomeno che già non si siano sentite in anni e anni di Seattle sound (“Soldat perdu”), la Soundgardeniana (“Youth”, “Bluesman”); con la numero nove della tracklist “It shines”, ballata voce, chitarra acustica ed archi il picco d’attenzione sale a cento, riporta in auge l’attenzione, una traccia che si consuma nel perfetto spirito arioso di un qualcosa di superiore, tra intimità e magoni dentro ma che da sola regge il destino di tutto il registrato.
Con gli open chords della migliore tradizione rivoluzionaria della Washington DC – “Massacre” nella quale i Blind Melon tornano a danzare silvestri ed enigmatici, il disco si chiude tra inneschi e feedback, tirando giù una saracinesca sull’ascolto che rimane comunque a mezza tensione, sempre indecisi su che cosa sbilanciarsi o su che cosa entusiasmarsi; magari riascoltandolo per altri dieci giri forse sarà amore, ma per il momento quest’ambizione di accasarsi troppo negli stereotipi fa sbandare in territori già ampiamente abusati e violentati, vale a dire che i diari di guerra degli Ananda “qualcuno” li ha letti prima di loro.
(Max Sannella)