Quel volpone di Battiato ci aveva visto lungo quando volle a tutti i costi quelle quattro ragazze eccentriche nel suo album; si chiamavano MAB e ora due di quelle, per l’esattezza Lisa Masia e Marina Cristofalo si stanno confermando talentuose come pochi con il progetto Lilies On Mars. Partendo essenzialmente come duo, per questo secondo disco dal titolo Wish you were a pony si avvalgono del batterista Matthew Parker conferendo al disco più sicurezza con una base ben solida. Per chi non le avesse mai sentite prima (come il sottoscritto) questi “gigli alieni” si muovono in territori shoegaze con due bellissime voci ma vediamo di farci dall’inizio.
Si apre con “Retrò” ma è quasi un’intro con una chitarra appena accennata e poche percussioni mentre già dalla successiva “Crabs” si comincia a sentire il vero “odore” di questi strani fiori, un inizio bello sostenuto da distorsioni
mai invadenti e da una voce levigata che sà anche “graffiare” per poi finire in dilatazioni quasi psichedeliche. É senza dubbio uno dei momenti più alti del disco e con “Aquarium’s key” si vanno a sfiorare le “corde del cuore” con una lenta progressione di riverberi tra tinte scure e malinconia ma dall’incredibile bellezza.
Se dovessimo cercare tra queste 11 tracce qualcosa che possa avvicinarsi al mainstreem forse si potrebbe fare il nome di “A lost cause” ma solo per la sua immediatezza e per il ritornello che si “appiccica” come vinavil, quasi in contrasto con la delicata e sognante “I’m confused it’s ok”, tra chitarre acustiche ed echi di sottofondo. C’è spazio pure per due testi in italiano, uno di questi è “La mattina prima di andare a letto”, quasi a celebrare quel momento prima di gettarsi tra le coperte dopo una nottata in giro, sonorità “torbide” che si alternano a chitarre al fulmicotone. L’altro episodio italiano è “Su” che si accende tra arpeggi fino ad innervosirsi ed andare verso un grunge vagamente alla Marlene Kuntz, sembra quasi una filastrocca ma nera. Le ragazze sanno dosare bene le emozioni passando da momenti cupi ad altri più distesi e ricchi di luce come “Hiding under water”, quasi per tutta la durata del brano si concentra su una chitarra acustica e le due solite esili voci per l’occasione accompagnate da quella maschile di Matthew, quasi un pezzo da camera, per poi prendere definitivamente il volo tra percussioni di batteria e xilofono. Siamo quasi giunti alla fine e “Panic awakening” porta con sè sfumature wave, le voci si fanno lacerate e le linee di basso pesanti come il piombo; rimane solo da chiudere e non potevano farlo in miglior modo, “Angry lullaby” inizia con dei riverberi di chitarra tanto belli ed eterei che potrei associare solo agli Explosions in the sky dei migliori tempi, un inizio che poi si concretizza con distorsioni, feedback e urla fino all’esplosione e tramontare definitivamente con lo stesso giro con cui era iniziata.
Sono contento aver fatto questa conoscenza, un disco che scorre più che mai, delicato, elegante e anche ruvido ma cottraddistinto da una forza emotiva che forse solo due ragazze sono in grado di esprimere così bene.
(Andrea Tamburini)