Per nulla facile potrebbe sembrare portare sulla gobba un nome di cosi imponente importanza e contemporaneamente agitarsi nelle duecentomila correnti di fluidi e opalescenze che il genere diffonde a palmenti, e tanto meno calarsi con umiltà e sicurezza nelle interpretazioni sonico-visionarie che il progetto dei Baba Yoga mette sul suo tappeto magico.
Eppure The tiger, the parrot and the holy frog quarto della loro produzione discografica, sebbene si muova su terreni calpestati e già sviscerati da nuvolaie d’esecutori originali e da artisti che suonano a mezz’aria, citiamo tra i tanti Trilok Gurtu, Thievery Corporation, Massive Attack, Sigur Ros e le ampolle suggestive di Zorn and C., una “certa lievitazione” te l’ha concede se ci si lascia irretire senza pensarci sopra, invece se ci si ferma ai micidiali paragoni d’arte, ogni possibilità di soppesarlo come conviene svanisce nel “serial copy”.
Ad essere sinceri, ripeto, quella lievitazione si sente ed è forte, gli sforzi di Gianfranco Salvatore microkorg, handsonic, vocals e Danilo Cherni synthesizers, synth-drums, vocals (Humprey Baba e Danni Yoga), con ospiti a bordo quali Arnaldo Vacca percussioni varie, Badara Seck voce, Lutte Berg alla chitarra, Caterina Genta vocalizzi e Daniele Tittarelli sax – di gestire il saliscendi della pressione corporea e mentale dalla parte di chi ascolta – hanno successo ed il trip è assicurato; il miscuglio sonoro d’ambient, jazzly, trip-hop, world, etnica, elettronica visiva ed immaginaria, voci, esterefazioni effettate, echi, rimbombi e grazie architettate, sono una vera manna per le trombe d’Eustachio, un estraniarsi finalmente con una “droga legale” in altre evoluzioni e moduli d’estasi che da sempre fanno parte integrante dell’essenza mistica orientale che incrocia la nuova musica “dei mondi” e le tecniche sonore della modernità, poi una volta mischiato “il sangue” è l’esplosione di colori, rumori, anime e fragori a “immaginificare” il consueto nella magia di cui anche ora si è testimoni.
La tigre, il pappagallo e la rana felice sono “le tre bestialità divine” a cui il disco incensa le otto tracce di questo viaggio attraverso il viaggio, atavico e programmings trasfigurano confini e culture; senza peso l’etno dub “The tiger”, scintillante la danza ipnotica tra jazz e tabla “Incarnation”, subacquee ed imprendibili nelle loro spiritualità le tracce regine del disco “The jungle speech”, “The frog” per atterrare – in un finale etereo – nella tribalità vocalizzata tra dub-step e world senza catene “Trinity”.
Si, effettivamente fermarsi ai paragoni sarebbe veramente una pochezza, perché in fondo questo bel disco vola anche di suo, conserva un’autonomia personale e guarda al futuro, Baba Yoga colpisce di nuovo e bene e a noi non rimane che fare “OM SHIVA Yè’BOM MALEK”, e a voi un “buon viaggio”!
(Max Sannella)
BABA YOGA “East-west suite”
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