Simone Tarli, multistrumentista, writer e cervello tuttofare de Gli Illuminati, e che qui si fa parte integrante del progetto discografico Soli nel buio della band romana degli Sweepers, ci accompagna in un viaggio stroboscopico tra balere anni sessanta, beat things, fumanti tessuti di pop cinz nostrani e quei sentori aromatici che ballonzolano tra i primi urlatori “La nostra età”, la Nomadiana “Qui non c’è” del giro beatnik di Gino Santercole (Clan di Celentano) e le cartoline di una “up-generation” che ha seminato neuroni nei sogni d’oltreoceano a stelle e strisce, di quella primaria barriera beat che sbatteva epiletticamente tra realtà e “orbite d’avanguardia”.
Dieci tracce che si snodano da cima a fondo, dieci freccette che hanno tutto per piacere agli indie snob: ritmo, simpatia, colore, stravaganza e “polluzioni soniche” sotto forma di piccole suite psichedeliche corali, shi-fi dè noantri che saltellano su onde e cavalloni sonori che ti fanno prendere una notevole scuffia da sfogare testardamente se non ossessivamente sul tasto repeat; certamente nessun “ribaltamento in corso” della genesi del rock, ma un’ottima divagazione stilistica che purtroppo non arriva molto al nostro sistema uditivo oggi come oggi, una piacevole parentesi di classe “floreale” che non disdegna fare capriole anche in territori indie contemporanei, specie nel riff scatenato di “Scegli me”, tra i graffi rock-mex “Il camaleonte” o nel mezzo dei riverberi Agnelliani “Mai”. Possiamo definire gli Sweepers come uno Sputnik puntato verso le arcate superiori del sistema “alternative” italiano, una band che utilizzando le fonti primarie del beat e dosaggi quanto sufficienti di nevrosi moderne, stabilisce un “contatto spettacolare e insperato” con un pubblico oramai arrivato – per mancanza di materia prima decente – quasi alla canna del gas, pubblico che se entra con la testa nella jam centrale di “Prujem” , inno e lussuria di riff chitarristici, bassi slappati, pelli drogate e tasti incandescenti, non si staccherà più dal ricercare questa formazione in ogni loro live possibile.
Mentre balliamo un’ effervescente twist “Bice dice” o un guancia a guancia timidone con l’amata di turno sullo spirito de “Il viandante”, il pensiero cade sulla spettacolarità vuota che tante band – in preda d’astrusità splendidamente innovative a loro detta – rimangono invece infangate nel “bozzettismo” di una ripetitività senza senso, mentre altre – come questi Sweepers – con panni vecchi e qualche lustrino ripassato – creano piccoli capolavori d’arte “moderna” o – meglio dire – di “modernariato pop-rock” che non è assolutamente per “tardoni melanconici” piuttosto una strana e felice new economy di sensazioni retrò/futuriste per chi vive e ascolta nell’odierno.
(Max Sannella)