Se fossi ancora iscritto a Scienze delle Comunicazioni su un disco così probabilmente ci avrei scritto la tesi. Chi sono I Cani? Intanto, un nuovo capitolo nel grande libro intitolato: Fenomenologia del cane nel panorama indie italiano degli anni ’10, che annovera fra gli altri Iosonouncane e l’ultimo dei Non Voglio Che Clara Dei Cani, giusto per fare un paio di nomi (anche se spulciando tra le singole canzoni l’elenco diventa infinito). In secondo luogo, un’altra one man band con un nome da collettivo, secondo i dettami di Vasco Brondi. A questo aggiungiamo il sound orgogliosamente lo-fi, i synth sapientemente vintage e i testi spudoratamente adolescenziali, traboccanti di citazioni. Ora, se alla SNAI si potesse scommettere sul successo delle band esordienti, giuro su dio che punterei la mia copia originale de La Moda Del Lento su questo giovane cantautore (?) romano.
Voglio dire, lo zelo col quale sono stati dosati tutti i singoli ingredienti per andare a comporre questo album d’esordio dà letteralmente le basi a qualsiasi produttore assetato di soldi, vile orchestratore di boy-band-bagna-ragazzine dell’ultim’ora. Altro che X Factor, Amici, cazzi e mazzi: qui ci troviamo di fronte al vero erede di Malcolm McLaren. Io non so chi ci sia esattamente dietro questo progetto, anche se ovviamente l’hype generato intorno al gruppo lascia supporre qualcuno con le mani discretamente nella proverbiale pasta, ma non mi interessa neanche più di tanto. Qui bisogna analizzare il prodotto e questo è davvero una bomba. Ma andiamo con ordine. Già dal titolo, si capiscono parecchie cose. Il Sorprendente Album D’esordio Dei Cani è geniale, per il semplice fatto che anticipa quella che sarebbe probabilmente stata la frase più abusata nelle recensioni sulle varie riviste e webzine musicali. E che, forse, così ci eviteremo. Del resto sta qui l’intelligenza del progetto: rivolgersi ad un pubblico ben definito, vittima di determinati canoni, calcando il dito su quegli stessi canoni a tal punto da diventarne quasi un’autoironica parodia. Anche perché, se non si riuscisse a cogliere questo sottile gioco di rimandi, davvero verrebbe voglia di spaccare in due il disco dopo il secondo pezzo. E invece I Cani sembrano essere ben più intelligenti di quello che potrebbero inizialmente apparire. Così, fin dal nome della band, il non prendersi sul serio si rivela l’ingrediente segreto della ricetta. Con queste premesse possiamo addentrarci ora nella tracklist del disco. Dopo l’intro strumentale “Theme From The Cameretta”, ecco arrivare subito il possibile pezzo-manifesto “Hypsteria”, dove il citazionismo si fa Verbo: MacBook Pro, American Apparel, David Foster Wallace, le Lomo, le Polaroid, Facebook e Daniel Johnston. Capite che davanti a tutto ciò, l’autoironia diventa l’unico antidoto contro l’overdose. Perché da questo punto di vista, l’esordio dei Cani sembra la versione dopata all’estremo del Sussidiario baustelliano. Quindi attenzione: se siete fra quelli che da sempre accusano Bianconi&Co. di essere un branco di fighetti fastidiosamente radical-chic, tenetevi ben distanti da questi quadrupedi romani. Gli altri invece proseguano il viaggio, che ci sarà da divertirsi. La seguente “Door Selection” è probabilmente il pezzo meno bello del disco, perché non riesce a toglierti dal cervello il pensiero pulsante che “una canzone con un testo così poteva tranquillamente stare sui primi due album degli 883”. Ci pensa però “Velleità”, la prima hi(pster)t dell’album, a ridarvi fiducia. Anche qui, è però doveroso riportare alcuni versi per farvi capire a cosa andate incontro: “I critici musicali ora hanno il blog/Gli artisti in circolo al Circolo degli Artisti/I falsi nerd con gli occhiali da nerd/I radical chic senza radical/Nichilisti col cocktail in mano che sognano di essere famosi come Vasco Brondi, che appoggiato sul muro parla con la ragazza di qualcuno/Anoressiche alla moda, anoressiche fuori moda, bulimiche si occupano di moda/Mentre aspiranti DJ aspirano coca aspiranti attrici sospirano languide con gli autori tv, gli stagisti alla Fox, i registi di clip/I falliti, i delusi, i depressi, i frustrati. Gli emo riciclati. I gruppi hipster, indie, hardcore, punk, electro-pop. I Cani”. Non so se mi spiego. Roba che se stessi dall’altra parte della barricata mi farei esplodere come un kamikaze durante il prossimo MiAmi. “Le coppie” rischia di fare la fine di “Door Selection”, ma riesce a salvarsi in corner. “Il Pranzo di Santo Stefano” è invece un gioiellino che con pochi versi costruisce una sorta di cortometraggio sonoro davvero notevole. Per una volta il groove del disco si quieta e l’anima più cantautorale dei Cani emerge rivelando fra i suoi più diretti riferimenti il concittadino Max Gazzè. “Post Punk”, forse il mio pezzo preferito con il suo incedere electro-punk, racconta dell’incontro fra un giovane bassista in cerca di una band e un critico di BXXX Up dai costumi sessuali non proprio legali. “I Pariolini di Diciott’anni” lascia intuire già dal titolo quale sarà il tema della canzone: “I pariolini di diciott’anni comprano e vendono motorini/danno le botte di cocaina/fanno i filmini con le quartine perché anche se non fosse amore non per questo è da buttare (com’è logico che sia)”. “Perdona e Dimentica” è il brano melodicamente meno immediato, ma risulta alla fine uno di quelli più interessanti da scoprire col succedersi degli ascolti. Chiude l’album un irrinunciabile omaggio al regista più fighetto di Hollywood: “Vorrei vivere in un film di Wes Anderson”: “inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks. Vorrei l’amore dei film di Wes Anderson, tutto tenerezza e finali agrodolci”.
Dunque, direi che ormai avrete ben chiaro chi sono I Cani e quali sono le loro abitudini musicali. Se decidete di stare al gioco, sopportando le pere postmoderniste e l’ostentato accento romano, i continui rimandi a luoghi e persone che non sempre capirete (se giungete da altri luoghi ameni della penisola) e l’elogio incondizionato dell’adolescenza tutta liceoclassico-CircolodegliArtisti-DAMS, allora il divertimento è assicurato. E il mio I-Pod garantisce per me. Se invece volete canzoni in grado di rimanere negli anni, senza essere semplicemente inni generazionali da consumarsi preferibilmente entro, ma capaci di andare oltre i riferimenti attuali e maturare con l’età, fino a diventare irremovibili pietre miliari della canzone italiana, allora cercate da qualche altra parte. Che di questi tempi le cose vanno così.
(Federico Anelli)