Quando una macchina da soldi come gli Arctic Monkeys dalla forte impronta indie rock annuncia che il nuovo disco sarà volutamente più pop, c’è da aspettarsi che da una parte i vecchi fan storceranno il naso ma dall’altra ci saranno più orecchie appetibili.
Non è esattamente il migliore auspicio per un album, ma sinceramente non trovo questo Suck it and see così “molle” come ho sentito dire in giro ma facciamoci da parte e vediamo un pò cosa hanno “partorito” Alex Turner e soci.
A dare il via è una Beatlesniana “She’s thunderstorms”, che và a confermare sin dagli inizi questa svolta verso lidi pop ma per chi già si stà mettendo a piangere pensando di non trovare più dell’energia negli Arctic deve stare calmo perche gli inglesi hanno in serbo diverse “pallottola” come “Brick by brick” o il singolo “Don’t sit down cause i’ve moved your chair” che riporta agli Arctic Monkeys su un “terreno sporco e arido”, muri di chitarre belle potenti e un ritornello incalzante che rimane impresso nella mente.
Con “The hellcat spangled shalalala” ci si avvicina a territori quasi shoegaze, con chitarre dilatate e sognanti, si continua poi con una “frenetica” “Library pictures” dalle chitarre desertiche per poi ristabilirsi con le morbide melodie della ballata “Reckless serenade” che quasi ci porta a certi The Walkman.
Peccato che proprio nell’ultima parte del disco ci si perda un pò e la mancanza di incisività tende ad allontanare l’attenzione dell’ascoltatore; ciononostante, facendo un po’ i conti, ci troviamo tra le mani un’album che verrà divorato dalle masse ma comunque ben realizzato e senza cadute di stile; ancora una volta nessun capolavoro ma semplicemente undici brani rock di facile ascolto.
(Andrea Tamburini)
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