Difficilmente etichettabile è un’espressione spesso abusata ed utilizzata sostanzialmente a cazzo, facile via di fuga per critici musicali a scarso di idee. Ora, non vorrei rientrare miseramente in quest’ultima categoria, quindi cercherò con tutte le mie forze di trovare delle definizioni più o meno sensate per descrivere il nuovo album dei cosentini Camera 237: Alone in an empty bed.
La sorpresa che si prova nell’ascoltare questo disco, coi suoi continui cambi di prospettive e stili, pur in un’unitarietà generale ben definita, potrebbe rimandare a quella di Jack Nicholson nell’Overlook Hotel, mentre osserva l’avvenente fanciulla nuda che lo abbraccia trasformarsi nel ridente cadavere di una vecchia. Ed ecco forse spiegato il nome della band. Anche se, in effetti, l’immagine così non funziona. Quindi prendete la sequenza e guardatela al contrario: dallo zombie alla bionda bagnata. Molto meglio, no? È con questo sorriso ritrovato che constatiamo la maturità raggiunta dal gruppo, il quale sfoggia un sound internazionale senza per questo scimmiottarne gli stilemi. Si parte con “Etiquette Is Useless”, brano dal sapore post-punk che sembra uscito da Talk Talk Talk dei Psychedelic Furs, o giù di lì. I Camera 237 rivelano fin da subito un ottimo gusto nell’uso dei synth, qui ottimamente legati al basso pulsante di stampo new-wave. Si pone sulla stessa scia anche la successiva title-track, dove ancora una volta i suoni sintetizzati si rivelano l’arma in più dei brani. Con “Carry On” ed “Echoes From My Brain” si entra nelle lande dell’indie pop, mentre nella successiva “6:00 am” il sound si fa più caleidoscopico, tingendosi di ben dosata psichedelia. Nella strumentale “John Arne” si accentua maggiormente il lato post-rock dell’album, mentre nell’aria aleggia lo spirito degli Arcade Fire. “Nova Ruda”, uno dei pezzi meglio riusciti, ci avvolge in onde sintetiche, cullandoci in un continuo sali-scendi, mentre una chitarra arpeggia note che si perdono nello spazio infinito. My Wrong Words è un brano indie pop dalle tinte più malinconiche, sul quale si innestano sfumature dark e post-rock che esplodono nella conclusiva “Caledonian McBryne”, dove le dolci note iniziali di piano vengono sommerse da una bufera noise che chiude il disco.
Ecco, sono riuscito a non dirlo. Difficilmente etichettabile. Eppure, se l’espressione non può essere questa, ci vorrebbe comunque qualcosa di molto simile per descrivere Alone in an empty bed. O forse si può fare a meno di definizioni e semplicemente perdersi nell’ascolto. Quindi, se posso darvi un consiglio, non ascoltate Mr. Halloran: la Camera 237 vi attende a porte aperte.
(Federico Anelli)